Parlare di unioni crea divisioni
Il 28 gennaio prende avvio al Senato il dibattito sul ddl Cirinnà che sta spaccando la politica e anche l’opinione pubblica. Alcune voci bresciane
Da qui la levata di scudi di chi ritiene il “Cirinnà” un cavallo di Troia per arrivare laddove precedenti tentativi di aprire al matrimonio tra persone dello stesso sesso avevano fallito. In una recente intervista al “Corriere della Sera”, il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, auspicava la presenza di “parlamentari e pezzi di società che per convinzione personale sappiano prendere iniziative efficaci per impedire soluzioni pasticciate o fughe in avanti fatte passare per conquiste civili”.
Non è solo il tema di una regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso a creare contrapposizione. C’è anche quello, per certi aspetti più grave e problematico, dell’introduzione della “stepchild adoption”, una figura giuridica derivata dal sistema anglossasone e che ammette l’adozione da parte di uno dei due componenti di una coppia del figlio, naturale o adottivo, del partner e che può riferirsi sia a coppie eterosessuali che omosessuali. Una novità che, per chi contesta il Cirinnà, aprirebbe la strada alla pratica dell’utero in affitto, per altro vietata in Italia, ma aggirata con viaggi nei Paesi in cui questa pratica opinabile è permessa. “Voce” ha raccolto alcuni pareri. Ha chiesto a Riccardo Montagnoli, presidente dei giuristici cattolici bresciani di spiegare cosa c’è veramente in gioco col ddl Cirinnà. A parlamentari e politici bresciani è stato chiesto di esprimere un parere sulla discussione in atto e, se possibile, la loro posizione personale.
M. VENTURELLI
15 gen 2016 00:00