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Brescia
di + LUCIANO MONARI 23 mar 2016 00:00

Monari: "Convertire parole e azioni perché siano più vere e più buone"

"Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia" è la beatitudine che ha accompagnato 4000 giovani bresciani alla Veglia delle Palme. Nell'omelia in Piazza Paolo VI il vescovo Monari ha spiegato ai giovani la parabola del padre misericordioso e li ha esortati a fare un esame di coscienza sulla propria vita: "La persona umana non nasce già fatta, ma da fare; deve crescere attraverso la conoscenza, la decisione, l’azione, verso una libertà che sia realizzazione sempre più intensa di amore"

Un padre così è difficile da trovare; anzi, uno psicologo forse direbbe che non è nemmeno il padre ideale. Quando un figlio si comporta come il prodigo e volta le spalle alla casa paterna, se torna, bisogna fargli prendere coscienza di ciò che ha fatto perché non abbia poi a ripetere il colpo di testa e, una volta ristabilito, non vada via un’altra volta. Accoglierlo così, come ha fatto il papà della parabola, senza condizioni, senza chiedere nulla, sembra buonismo inopportuno. Ma la parabola non vuole insegnare come deve comportarsi un padre; annuncia invece come si comporta Dio con gli uomini; dice che Dio ha viscere paterne e materne, non riesce e non vuole avere altro che viscere di misericordia. Per questo riaccoglie il prodigo come figlio e chiede all’altro, al giusto, di considerare il prodigo come fratello, quindi di accoglierlo con la medesima benevolenza.

Insomma, il padre della parabola ha due figli; desidera solo poterli amare come figli e che loro si amino come fratelli. Ottiene quello che desidera? Stranamente la parabola non risponde: non dice che il prodigo abbia finalmente incominciato ad amare suo padre e non dice che il maggiore abbia finalmente cominciato ad amare suo fratello. E non lo dice intenzionalmente perché vuole fare appello agli ascoltatori e mettere nelle loro mani la risposta. Che è come dire: il padre della parabola è Dio ricco di misericordia e di perdono, che non si stanca di perdonare, che non rifiuta nemmeno chi lo ha rifiutato. Voi, che ascoltate, con chi vi identificate? Siete figli prodighi che hanno abbandonato la casa paterna e sono delusi dei risultati conseguiti? Siete il figlio maggiore che ha continuato a lavorare nell’azienda paterna ma che si rifiuta di amare generosamente il fratello? O addirittura siete insieme il prodigo che fugge da suo padre e il maggiore che rifiuta il fratello? Tutte le ipotesi sono possibili; e da qualunque punto di partenza è possibile il cammino che conduce al padre e quindi a una coscienza filiale. Come?

Sono il prodigo; sono scappato di casa perché la casa era un ambiente troppo stretto per me; non è tanto per il lavoro che avrei anche sopportato, ma per lo spazio di manovra che sentivo troppo stretto. A dire il vero, nessuno mi aveva mai tolto la libertà, ma stando in casa dovevo pur incontrami con lo sguardo di mio padre e quello sguardo mi metteva a disagio. Sembrava che vedesse i miei pensieri, che indovinasse i miei desideri più nascosti; senza nemmeno che parlasse mi sentivo smascherato e rimproverato. Così sono scappato: il mondo intero per soddisfare miei capricci, la possibilità di fare qualsiasi esperienza: “Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano”, al mio corpo nulla di ciò che desiderava. Tante compagnie, tante baldorie, poi mi sono ritrovato solo, solo; e ho avuto paura. Torno a casa; chissà quante me ne dirà mio padre, ma è pur sempre mio padre; almeno come salariato può riprendermi. È un’umiliazione per me; i servi mi guarderanno con ironia; mio fratello si farà grande della sua virtù e della sua autorità in casa; ma almeno avrò da mangiare – da uomo.

Non è difficile immaginare lo sbalordimento di questo figlio – il prodigo – quando si vede venire incontro, correndo, il padre; poi si vede mettere il vestito da festa, l’anello al dito, i calzari ai piedi; poi si vede portato nel bel mezzo di una festa; la sua, per lui! come avesse realizzato un’impresa eroica, come avesse accumulato benemerenze! Nessuno oserà criticarlo o deriderlo: è figlio!

Ma lo è davvero? Certo, lo è per il padre e lo è ufficialmente per tutta la casa. Ma lui, il prodigo si sente figlio? ha sentimenti di figlio? ama con un cuore di figlio? Le motivazioni che lo hanno ricondotto a casa non bastano: è tornato per fame, non per amore; sentiva bisogno di pane, non di padre. E’ comprensibile, certo. Ma la domanda è: quando ha visto il comportamento del padre, quando ha potuto verificare l’amore affettuoso del padre per lui, cosa ha provato? Quali sentimenti sono maturati dentro di lui? ha capito quanto fosse sbagliata l’immagine che si era fatta di suo padre? ha incominciato ad amare, o almeno a desiderare di amare un padre così? Domande; alle quali sono gli ascoltatori della parabola che debbono rispondere. Quelli che si identificano col figlio prodigo debbono misurarsi con l’amore di Dio, con la benevolenza di Gesù, con il suo amore portato fino a dare la vita per noi. Ce la sentiamo di amare questo Dio? ci sentiamo in sintonia con Gesù?

Sono il fratello del prodigo. Abito da sempre con mio padre e con lui ho sempre condiviso tutto: i pasti, la casa, i momenti belli e quelli difficili della vita. Lavoro tutti i giorni della settimana – eccetto il sabato, s’intende – lavoro e obbedisco, obbedisco e lavoro; contribuisco così al bene della casa, al consolidamento del patrimonio di famiglia. Quando mio fratello se n’è andato, ci sono rimasto male, ma neppure poi tanto. Ho pensato che in questo modo tutto diventava più chiaro: mio fratello, quello scioperato, aveva preso quello che gli spettava e aveva scelto una strada diversa. Adesso quello che è rimasto è mio, solo mio. In questi anni ho lavorato e continuo a lavorare: è fatica, ma ho la speranza che potrò godermi una serena vecchiaia col patrimonio che ho accumulato. Questo penso; almeno, questo pensavo fino a poco fa; fino a quando, tornando a casa dai campi, ho sentito una musica di festa e ho saputo che mio fratello era tornato; che mio padre l’aveva accolto; che il vitello grasso era stato ammazzato; che tutta la casa faceva festa. Per chi? Per lui, per quel debosciato di mio fratello – non vorrei nemmeno chiamarlo così – che ha dilapidato patrimonio, virtù e rispettabilità per un piacere stupido e degradante, che si è comportato da bestia e meriterebbe di stare con le bestie. E adesso cosa faccio? Se entro a fare festa, sembrerà che io abbia dimenticato tutto, come se niente fosse accaduto. Non è possibile: mio padre non può mettere un vizioso così al mio stesso livello, non può uguagliare virtù e vizio, ribellione e obbedienza.

E il padre? Può adottare una soluzione semplice che accontenterebbe tutti: basta che assuma il figlio prodigo e lo metta tra i suoi dipendenti. Il prodigo sarà contento perché ottiene quello che desidera -mangiare; il maggiore sarà pure contento perché vede riconosciuta la sua virtù superiore. Ma come fa questo padre – che ha bontà di padre e tenerezza di madre – a immaginare suo figlio con la livrea dei servi? a trattare il suo figlio come un salariato? Semplicemente, non ci riesce. Quando aveva visto partire il prodigo, qualcosa si era spezzato dentro di lui; non aveva voluto impedire la scelta del figlio, ma ne aveva patito angoscia. Per lungo tempo ha vissuto pensando al figlio: dove sarà? come sarà? sano o malato? ricco o povero? felice o triste? Adesso che lo ha visto tornare, che l’ha potuto riabbracciare, lui, il padre, non riesce a capire altro: suo figlio era come morto, adesso è con lui, vivo! Tutti i gesti di questo padre dicono la medesima cosa: una gioia tanto più grande perché era sembrata ormai impossibile.

Ma la gioia è offuscata dalla tristezza del fratello maggiore, anzi dal suo risentimento acido e aggressivo. “Io ti servo – dice – da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando e tu non mi hai dato mai un capretto per fare festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio, che ha dilapidato i tuoi beni con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso!” Per lui! per un depravato delinquente! Ingenuo come un bambino, il padre. Crede proprio che il prodigo sia tornato per amore? e che non farà altri colpi di testa? e che non sparirà di nuovo, non appena si presenti un’occasione seducente? E cosa farà allora il padre? lo tornerà ad accogliere? e per quante volte? Tre, sette, settanta volte sette? Possibile che si lasci menare per il naso così?

Ma il padre vuole entrambi i figli: se il prodigo deve imparare ad amare il padre, il maggiore deve imparare ad amare il fratello. Non è detto che ci riescano; la parabola non dà nessuna sicurezza, né per l’uno né per l’altro. Sicuro è solo l’amore del padre; quello dei figli dovrà scaturire da una loro scelta libera. Tocca a me e a te: con chi ci identifichiamo? E che tipo di sentimenti decidiamo di assumere verso il padre, verso gli altri figli?

Ma non basta. C’è un altro interrogativo che nasce inevitabilmente quando si ascolta questa parabola: un padre straordinario, con un amore ricco di misericordia e di tenerezza, che permette ai suoi figli di riprendersi sempre di nuovo dopo un errore, un peccato. Bello. Ma dove lo trovo un padre così? O, fuori della metafora: dove trovo un Dio così? Come posso essere sicuro che Dio sia così? La risposta non può che essere articolata.
Lo trovo anzitutto nella natura che mi offre cibo e bevanda e vestito e luogo di riparo. Certo, la natura non ha un cuore materno; si potrebbe anzi dire che è senza cuore. Eppure lo spettacolo della natura è ammirevole: posso godere gratuitamente di una notte stellata, di un panorama mozzafiato, del mare infinito…; posso ritrovare serenità e gioia semplicemente guardando, ascoltando, camminando, toccando. Non solo: proprio perché la natura è senza cuore e non muta i suoi sentimenti, posso lavorare i campi, addomesticare e allevare animali, plasmare metalli e farne aratri e falci. Certo, la natura non è Dio ma è dono; non salva, ma può essere usata per il bene: può migliorare la vita di ciascuno e di tutti. È come il vestito bello di cui il padre riveste il prodigo: solo un vestito, ma segno dell’amore di un padre.

Di più: posso trovare l’amore paterno di Dio negli altri: nell’amore di mio padre e di mia madre, anzitutto; nell’amore dei miei fratelli e sorelle; poi ancora nell’intreccio di relazioni che costituisce la vita culturale, economica, sociale e politica. Qui, in realtà, la percezione è più ambigua: nella natura l’amore paterno di Dio è mediato attraverso le leggi rigide della chimica e della fisica, attraverso gli istinti costanti degli animali. Nella vita sociale l’amore paterno di Dio è mediato attraverso la libertà dell’uomo; strumento ammirevole, la libertà, che può trasmettere amore, fedeltà, premura, solidarietà; ma anche strumento rischioso, che può produrre odio, violenza, inganno. Eppure, nonostante tutto, le relazioni umane hanno una straordinaria forza di rivelazione: il volto, la debolezza e la forza, gli affetti e i legami… l’uomo è capace di sacrifici incredibili quando vive relazioni positive con gli altri. Nell’amore e nella pazienza che gli altri portano con noi troviamo un segno (una mediazione) dell’amore paterno di Dio.

Dobbiamo fermarci qui? No: “Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna.” (Gv 3,16) Di Gesù di Nazaret si può dire che è passato facendo del bene e sanando tutti quelli che stavano sotto il potere del male; si può dire ancora che “ci ha amati e ha dato se stesso per noi” (Ef 5,2), che ci ha riconciliati con Dio attraverso l’offerta della sua stessa vita. Un amore così: questo davvero rivela il volto misterioso di Dio e può farci esclamate con Giovanni: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi: Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.” (1Gv 4,16) La fede in Dio Padre e la fede in Gesù Figlio di Dio vanno insieme; quella trova in questa la sua manifestazione concreta e incancellabile.

La natura, l’uomo, Gesù: tre dimensioni nelle quali l’amore paterno di Dio si rivela. Vogliono prese insieme, illuminate una con l’altra e tutte e tre fondate e illuminate dall’amore di Dio creatore, Signore e Padre. La persona umana non nasce già fatta, ma da fare; deve crescere attraverso la conoscenza, la decisione, l’azione, verso una libertà che sia realizzazione sempre più intensa di amore. Questo è il compito che il Signore vi affida, il compito al quale non potete rinunciare. Avete la natura: rispettatela come dono di amore di Dio; avete gli altri: amateli come fratelli e costruite relazioni di sincerità e di fedeltà; avete Gesù Cristo: fidatevi di lui come rivelatore del Padre. Qui finiscono le mie parole; ma qui deve cominciare la vostra riflessione e il vostro impegno. Esaminate il vostro vissuto di giovani; verificate quanto corrisponde a questo orizzonte di vita; pensate le scelte possibili per "convertire" parole e azioni perché siano più vere e più buone; iniziate a collocare piccoli tasselli di un mondo nuovo, di vita fraterna. Ma ricordatevi che potrete fare questo solo insieme, solo aiutandovi e sostenendovi a vicenda in un gruppo, una comunità, un movimento…, prendendovi un impegno davanti agli altri e diventando responsabili gli uni per gli altri – con gioia e con determinazione.

Vi ho detto queste cose “per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi!... Salutatevi l’un l’altro con un bacio d’amore fraterno. Pace a voi tutti che siete in Cristo!” (1Pt 5,12.14)


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