Monari al Corpus Domini: La vita di fede non ci allontana dalla responsabilità sociale
"Il cammino dell’uomo nella storia è sottomesso a continui mutamenti e il mondo dell’uomo deve continuamente trasformarsi per rispondere alle domande nuove, alle esigenze nuove, ai bisogni e desideri nuovi". Nella tradizionale omelia del Corpus Domini, il vescovo Monari si chiede come edificare oggi, nel mondo, il corpo di Cristo e invita ogni persona a riflettere sulla sua vita, sul suo vissuto personale, sulle relazioni con gli altri, sul suo contributo alla vita sociale, economica, politica... per verificare se ciò "contribuisce davvero a imprimere sul mondo, sulla storia dell’uomo, sulla vita della nostra città la forma della parola di Dio". Leggi l'omelia del Vescovo
E un poco più avanti, quando Gesù inizia la sua attività pubblica, ci ricorda che lo Spirito Santo è sceso su di lui e in lui si è fermato. Dunque il corpo di Cristo è una carne umana, che viene plasmata dalla parola di Dio e che è animata dal suo Spirito. È una carne umana, generata dalla carne di Maria; una carne del tutto uguale alla nostra, quindi sottomessa a tutte le leggi della biologia e della psicologia, a tutti i limiti della debolezza, della malattia e della morte. Ma è una carne che riceve forma dalla Parola di Dio: per Gesù di Nazaret vivere ha significato imparare l’obbedienza a Dio e cioè cercare e compiere in pienezza, giorno dopo giorno, la volontà di Dio. In questo l’esistenza terra di Gesù manifesta qualcosa di straordinario.
Il primo istinto fondamentale di ogni essere vivente è l’autodifesa e l’autoaffermazione; tutto ciò che vive tende istintivamente, prima di tutto, a difendere la sua propria esistenza. Al contrario, l’impulso determinante della vita di Gesù è stato quello di amare fino a dare la sua vita per la vita degli altri, del mondo. Ora, dare la vita, far vivere, dare speranza è esattamente il contenuto essenziale della parola di Dio. La parola di Dio ha creato i cieli, ha plasmato l’uomo, ha chiamato Abramo promettendo, attraverso di lui, la benedizione per tutti i popoli della terra, ha liberato Israele dalla schiavitù per farne un popolo legato a lui da vincoli di alleanza, ha corretto questo popolo con la parola dei profeti, gli ha insegnato la via della giustizia con i comandamenti, gli ha fatto sperimentare l’amarezza dell’esilio e la gioia del ritorno… tutto questo come espressione del suo amore e della sua predilezione. Rivelazione piena di questo amore e suo compimento definitivo è la vita e la morte di Gesù che è passato guarendo i malati, mondando i lebbrosi, perdonando i peccatori, risuscitando i morti e ha chiuso la sua vita rispondendo al male dei suoi crocifissori con la forza vittoriosa della fiducia in Dio e del perdono. Lasciandoci illuminare dalla parola di Dio, possiamo davvero dire che “Dio è amore”; e possiamo riconoscere questo amore anche dietro gli eventi intricati e contraddittori della storia.
Questo disegno di amore oblativo è la forma che la Parola di Dio ha impresso sulla carne umana di Gesù. Tutto questo, però, non sarebbe comprensibile se l’uomo Gesù di Nazaret – che vive, in quanto uomo, tutti i limiti e le tensioni della psicologia umana – non fosse riempito interiormente dallo Spirito Santo e non fosse quindi spinto dallo Spirito a desiderare i desideri di Dio Padre, a cercare la sua volontà, a obbedire a Lui fino al sacrificio della sua vita. Questo è il corpo di Gesù; dunque: un’esistenza pienamente umana, conformata alla parola di Dio, animata dallo Spirito Santo e cioè dall’amore con cui Dio ama.
Come, allora, edificare oggi, nel mondo, il corpo di Cristo? La carne di cui questo corpo è costituito è l’esistenza concreta dell’uomo in tutte le sue dimensioni: la vita del corpo con la salute e la malattia, la forza e la debolezza, la giovinezza e la vecchiaia; il mondo interiore della psiche con il processo lento e complesso di maturazione della conoscenza, della sensibilità, dell’amore; con gli slanci del cuore e le debolezze dell’animo; poi il mondo delle relazioni umane: la conoscenza, l’amicizia, il confronto, la collaborazione; poi le istituzioni umane: la famiglia e lo stato, l’economia a il lavoro, la scuola e la sanità, la scienza e l’arte e la cultura… Insomma, tutto quello che fa parte dell’esperienza dell’uomo che vive in società tutto questo è la carne di cui può costituirsi il corpo di Cristo – niente escluso. Su questa "carne" del mondo opera la parola di Dio che dà alle singole manifestazioni del mondo la forma della volontà di Dio: i dieci comandamenti, anzitutto, che costituiscono come la legge fondamentale del popolo di Dio.
Ma sarebbe equivoco pensare che i comandamenti esauriscano la ricchezza della parola di Dio. Questa è anzitutto una parola nella quale Dio si fa vicino all’uomo e instaura con lui un rapporto di amicizia, di alleanza. È una parola con cui Dio innalza l’uomo alla dignità di essere suo "partner" e collaboratore nel governo del mondo; è una parola di consolazione che dà la forza di portare il peso dell’esistenza quotidiana mantenendo una salda speranza che si apre al futuro di Dio.
Poco alla volta, attraverso un processo lento e complesso, le realtà del mondo – toccate e plasmate dalla parola di Dio – possono assumere una forma sempre più corrispondente all’amore di Dio – una forma di giustizia, di solidarietà, di benessere umano, di fraternità, forse possiamo azzardare l’ultima parola: la forma dell’amore, che porta ciascuno ad amare gli altri come se stesso e porta anche i gruppi umani – etnie, nazioni, partiti… - ad apprezzare e difendere gli altri come apprezzano e difendono se stessi.
Utopia? Sarebbe utopia se sognassimo un mondo perfetto e compiuto, così perfetto da non ammettere cambiamenti. Ma un cristiano non può immaginare un mondo siffatto. Il cammino dell’uomo nella storia è sottomesso a continui mutamenti e il mondo dell’uomo deve continuamente trasformarsi per rispondere alle domande nuove, alle esigenze nuove, ai bisogni e desideri nuovi. La nostra speranza è trascendente, si apre al mistero infinito di Dio, non si racchiude mai in una qualche forma del mondo, fosse anche stupenda.
Non è ancora tutto. Perché questo cambiamento possa sostenersi e consolidarsi nel tempo non bastano leggi e norme giuste; è necessaria una legge interiore che illumini gli uomini nei loro desideri e li renda sempre più coerenti col bene. San Paolo dice che la speranza cristiana – quella che abbiamo delineato sopra – “non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato donato.” Dio, dunque, non ci ha donato solo l’esistenza e l’insegnamento di ciò che è bene per l’esistenza; ci ha donato anche l’amore di cui Egli stesso vive, quell’amore che si chiama Spirito Santo. È questo amore che ci chiama a superare sempre di nuovo noi stessi, a mettere in gioco le nostre conquiste per aprirci a orizzonti sempre nuovi, a cercare vie sempre migliori, ad amare con maggiore coerenza. Fare questo significa edificare il corpo di Cristo, significa imprimere sulla vita dell’uomo – del singolo come della società – la forma della vita di Gesù, della sua obbedienza al Padre, del suo amore fattivo per gli uomini.
Si pensi a quel patto singolare su cui è edificata l’istituzione-famiglia: “Io prendo te come mia sposa e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita". Un patto di questo genere imprime sulla sessualità umana una forma di amore (prometto di amarti), di rispetto (prometto di onorarti), di fedeltà (prometto di esserti fedele); e tutto questo affermato contro la precarietà prodotta dal tempo e le incertezze della vita (sempre… nella salute e nella malattia). Non c’è bisogno di dimostrare che tutto questo produce nella società una serie di benefici che vanno dall’aumento del tasso di credibilità sociale alla sicurezza psicologica dei figli.
Per questo nel vissuto familiare si edifica il corpo di Cristo a condizione, s’intende, che la famiglia sia vissuta realmente secondo il patto che l’ha fondata – quindi nella fedeltà e nel rispetto e nel sostegno e nell’amore reciproco. E nonostante le dolorose esperienze di non riuscita, noi continuiamo a credere e a sperare in questa famiglia perché sappiamo che la fedeltà è meglio dell’infedeltà – a livello personale e a livello sociale – che l’amore è meglio dell’individualismo, che la sicurezza affettiva è meglio della precarietà affettiva. Vivere il matrimonio in questo modo significa edificare il corpo di Cristo.
Quanto abbiamo detto della sessualità deve essere detto anche della vita sociale. La società può essere un campo nel quale si confrontano le forze e dove il forte impone la sua volontà sul debole. Ora, tutto lo sforzo della civiltà umana è consistito nel tentativo di addomesticare la forza del forte e cercare di metterla al servizio anche del debole: per questo scopo abbiamo inventato le leggi e i tribunali, abbiamo fatto programmi di educazione e di istruzione scolastica, abbiamo istillato nelle coscienze valori di rispetto per gli altri e in particolare per i deboli.
Che cos’è tutto questo se non imprimere sulla vita sociale una forma quanto più ricca possibile di giustizia, di fraternità? Anche questo edifica il corpo di Cristo. A questo punto ciascuno di noi può riflettere su se stesso, sul suo vissuto personale, sulle relazioni con gli altri, sul suo contributo alla vita sociale, economica, politica; e può verificare se ciò che egli vive contribuisce davvero a imprimere sul mondo, sulla storia dell’uomo, sulla vita della nostra città la forma della parola di Dio; o se invece tendiamo ad affermare il piacere e l’interesse privato sacrificando il bene di tutti.
Nessuno può pensare seriamente che da un insieme di egoismi possa nascere una società generosa e magnanima; e nemmeno che basti la repressione dei comportamenti criminali per impedire il diffondersi dell’egoismo nelle scelte sociali. Dare forma umana al mondo richiede un’intelligenza chiara e libera, capace di analizzare i meccanismi sociali e di valutare correttamente gli effetti delle singole scelte; e richiede un amore sincero, che sa valutare e desiderare il bene di tutti superando una visione egocentrica. Se non riusciamo a entrare in questo dinamismo positivo, le scelte che faremo, anche buone, rimarranno episodiche, incapaci di sostenere l’edificio sociale con tutta la sua complessità.
Ecco perché abbiamo camminato per le vie di Brescia. Brescia è la carne umana nella quale vorremmo imprimere la forma della parola di Dio, che vorremmo animare con lo Spirito, cioè con l’amore che viene da Dio.
E sappiamo che questo esige da noi una conversione sincera e non facile da consolidare. Per questo tutte le domeniche ci troviamo insieme, confessiamo insieme il nostro peccato, ascoltiamo insieme la parola di Dio; poi, sempre insieme, ci accostiamo alla mensa del corpo di Cristo. “Questo è il mio corpo, consegnato per voi, Prendete e mangiate". Così ci ha detto il Signore e così noi facciamo. Mangiamo il corpo di Cristo nel sacramento del pane per potere edificare il corpo di Cristo nella realtà della vita: per fare della sessualità il luogo dell’amore e della fedeltà; per fare della società il luogo della giustizia e del diritto; per fare dell’economia la sorgente di benessere per tutti; per fare della politica la difesa del diritto di ogni persona umana, anche debole; e così via. La vita di fede non ci allontana dalla responsabilità sociale; il sacramento dell’eucaristia non ci rende insensibili alle necessità di tutti. Anzi, il desiderio di edificare il corpo di Cristo ci rende attivi, coinvolti, responsabili davanti al mondo e davanti a Dio. Il Signore ci aiuti a vivere in modo coerente con la nostra vocazione.
+LUCIANO MONARI
05 giu 2015 00:00