Il vescovo Monari sui lager: "Questi sono orrori nati dal cuore umano"
Si è concluso il pellegrinaggio guidato dal Vescovo al campo di concentramento di Dachau in occasione del pellegrinaggio diocesano per il 70 anniversario dalla liberazione del lager, da parte delle truppe americane, avvenuta il 29 aprile 1945
Sono state circa 30mila le vittime della follia nazista a Dachau, fra questi 1.166 erano religiosi: sacerdoti cattolici – come il bresciano Filippino della “Pace” Carlo Manziana, internato per due anni – come anche rabbini, pastori protestanti e sacerdoti ortodossi. Negli animi di questi ministri di Dio, costretti quotidianamente a convivere fra soprusi, umiliazioni, torture ed omicidi, maturò una vocazione ecumenica ed interreligiosa. Da qui la decisione della diocesi di accogliere l’invito dell’Aned (Asociazione nazionale ex deportati), guidata da Agide Gelatti, di organizzare, grazie al supporto del tour operator Brevivet, un pellegrinaggio nei luoghi dove la radice “infetta” del nazionalsocialismo trovò terreno fertile. Partiti da Brescia il 25 maggio alla volta di Monaco, i pellegrini hanno concluso il loro viaggio nella memoria, dopo la visita di Landsnut, dove già alla metà del XIII secolo si palesò il germe dell’antisemitismo. È stato durante la visita al campo di concentramento di Dachau, nel contiguo convento delle carmelitane, che si è potuto respirare lo spirito interreligioso del pellegrinaggio. Qui, alla presenza di mons. Monari, della pastora valdese Anne Zell e del sacerdote ortodosso Vladimir Zelinskij, i pellegrini hanno potuto partecipare alla “Preghiera ecumenica commemorativa delle vittime del campo e nel mondo”.
La prima a prendere la parola è stata la pastora: “Invito a pregare insieme, non guardando solo al passato – ha esordito Anne Zell –, a ciò che 70 anni fa è successo qui, e in tanti altri luoghi, ma anche al futuro, affinché non accada mai più che degli uomini tolgano ad altri uomini la libertà, la dignità, la personalità e quindi la vita”. Era visibilmente commossa Anne Zell, in qualità di donna, di pastora e, come lei stessa ha ricordato, di tedesca. Sulla Germania e sul suo popolo, dalla fine del Secondo conflitto mondiale, pesano le colpe dei “padri”, ma questo non deve distogliere l’attenzione, dei tedeschi e non, dai nuovi venti d’intolleranza che soffiano sull’Europa. E se è doveroso tenere alta la guardia, è altrettanto fondamentale ricordare che certe orrori non hanno nazionalità. Lo ha sottolineato il russo Zelinskij ricordando come Dachau, “l’abisso del male”, riporti alla mente altri campi di sterminio: “In questo posto, da cittadino russo - ha affermato il sacerdote - vorrei ricordare che ai tempi di Stalin i campi di concentramento erano numerosi e le vittime si contano a milioni. Nessuna nazione, quindi, può avere il ‘privilegio’ del male”.
La parola è poi passata al vescovo Monari che, prima di chiudere l’incontro con la “Professione di fede in Dio e nell’uomo” del padre della “Pace” Giulio Bevilacqua, ha sottolineato l’aspetto più angoscioso scaturito dalla visita alle baracche dove vissero, soffrirono e morirono migliaia di persone: la perdita della dignità.
“A onore dei morti e ad ammonimento dei vivi”: su questa frase, che campeggiava nel lager, Il vescovo ha incentrato il suo intervento: “In questo come in altri campi si è tentato - ha affermato Monari - di trasformare l’uomo in qualcosa di non umano, di non autenticamente tale. Non c’è delitto più grande di svestire l’uomo della sua dignità, della sua figura di persona fatta a immagine e somiglianza di Dio”. È’ da questo punto, per Monari imprescindibile, che si deve guardare avanti onorando la memoria di chi perse la vita nei campi di sterminio: “Queste persone – continua il Vescovo – per il solo fatto di essere morte qui, hanno diritto a una riparazione”. È però alla quotidianità, a tutti quegli atteggiamenti che tolgono valore e dignità agli altri, che i fedeli sono invitati a fare attenzione, affinché gli orrori del passato non si ripresentino. “Non c’è alternativa – ha chiosato il Vescovo –. Questi sono orrori nati dal cuore umano. O riusciamo a guarire il cuore dell’uomo o queste atrocità si ripeteranno”. Ci vuole una spinta propulsiva, anche da parte delle istituzioni, che spinga gli uomini a trovare il coraggio di guardare in faccia queste cose, “per intraprendere un cammino di superamento”, ma anche per “essere un balsamo per le ferite che ci sono oggi del mondo”: in onore dei morti – come Etty Hillesum, la scrittrice olandese di origine ebraica, morta ad Auschwitz, che ha ispirato le ultime parole di Monari – e ad ammonimento per i vivi.
R. GUATTA CALDINI
28 mag 2015 00:00