Don Davide Podestà. Una comunità basata su Dio
Don Davide Podestà è nato a Manerbio il 7 giugno 1990. Ha svolto il servizio pastorale per due anni a Nuvolera con don Lucio Salvi e don Ruggero Chesini, poi è stato prefetto in Seminario minore con don Michael Tomasoni, quindi due anni a Roè Volciano con don Gian Pietro Forbice. Quest’anno ha svolto il diaconato a Roncadelle
Nella tua scelta vocazionale quanto ha contato l’ambiente in cui sei cresciuto?
Sono cresciuto nella fede grazie alla mia famiglia. Decisivo più di tutto è stato l’oratorio, vivere l’oratorio negli anni delle superiori dopo averlo scoperto con il Grest. Vivere in oratorio è stato come incontrare Gesù attraverso gli amici, le relazioni che si sono approfondite, con il Don che ci seguiva, gli animatori, i campi scuola, gli itinerari di spiritualità per giovani. Sono stati tutti momenti che mi hanno fatto incontrare Gesù concretamente nella mia vita e nel quotidiano. Da qui è sorta la domanda: cosa vorrà il Signore dalla mia vita? Perché non sono così felice nonostante faccia tutte queste cose? È cercando di rispondere a queste domande che mi sono chiesto se il Signore volesse qualche cosa di più da me, forse mi chiedeva di donare tutta la vita per servire Lui e tutta la Chiesa. Nella mia scelta è stato essenziale anche il rapporto con i miei amici perché abbiamo costruito negli anni delle relazioni vere, nella Verità, non superficiali, che andavano in profondità. È quello che chiede Gesù ai suoi discepoli: essere suoi amici. Posso dire di aver incontrato Gesù attraverso le amicizie costruite in questi anni. Ci sono tante figure con le quali ho costruito rapporti molto belli e che tutt’ora sono per me persone molto importanti, persone che ringrazio il Signore di avermi fatto incontrate perché mi hanno fatto crescere prima come uomo e poi, un domani, come prete migliore, secondo il volere di Dio.
Ci sono amicizie che hanno influito particolarmente?
Soprattutto gli amici con cui sono cresciuto a Manerbio, ma anche in Seminario si sono create delle belle relazioni, ma su un piano differente rispetto alle amicizie dell’infanzia che si protraggono nel tempo. Certo, crescendo il rapporto cambia, non ci si vede più con la stessa frequenza di prima, ma forse anche questa distanza ti aiuta a vedere le cose essenziali, elevandole a un livello superiore. In tal modo le amicizie si approfondiscono notevolmente e si gusta davvero la bellezza di avere degli amici. Le persone incontrate in seminario, più che amici li chiamerei fratelli, perché si condivide tutta la vita: dallo stare insieme a tavola ai momenti di svago come una partita a calcio e, ovviamente, i momenti di preghiera. Si cresce insieme nella conoscenza di noi stessi e nella volontà del Signore. Come Gesù che ha chiamato i discepoli perché stessero con Lui, questo stare con Lui è uno stare con Lui insieme ad altre persone: non si sta da soli con il Signore, è importante avere dei fratelli che ti accompagnino nel cammino.
Per quanto riguarda il servizio svolto da diacono quest’anno a Roncadelle?
È stata un’esperienza di comunione, in primis con i sacerdoti che lì svolgono servizio, con don Aldo, don Massimo e don Mauro. È stato un po’ un prolungamento, un’esperienza di continuità di ciò che viviamo in seminario: dalla colazione consumata insieme la mattina alla preghiera. Questa dimensione comunitaria è la prima testimonianza che si può fornire ai fedeli. Vedono che fra i sacerdoti c’è concordia, vedono che stiamo bene insieme, forniamo la testimonianza di come possa essere bello vivere così. In tal senso mi ha colpito la domanda della madre di un ragazzo. Mi chiedeva se fossi rimasto anche per l’anno venturo. Ho risposto che era improbabile.
Allora lei ha detto: “È un peccato perché siete proprio belli”. Questo per me significa che insieme, tutti e quattro, riusciamo – pur nella difficoltà e con i nostri limiti – a esprimere l’amore del Signore che vuole costruire una comunità basata su di Lui.
ROMANO GUATTA CALDINI
10 giu 2016 00:00