Salvi e le sberle di padre Bevilacqua
“Voce” inaugura una nuova rubrica mensile, a cura di mons. Claudio Paganini, dedicata ai nomi che hanno fatto la storia del Brescia Calcio. È Egidio Salvi, il fantasista che ha vestito la maglia delle Rondinelle per 15 anni, a dare avvio a questa nuova rassegna. Una carriera da calciatore e allenatore lo fanno un osservatore attento
Egidio, appartieni alla storia delle Rondinelle. Dalle statistiche, risulta che hai disputato 441 partite con la maglia del Brescia Calcio...
C’è sicuramente un errore. Quel dato appartiene a Stefano Bonometti. Io sono “solo” a quota 401. Qualcuno dice che Stefano, nelle ultime gare, entrasse in campo solo cinque minuti ogni volta, per cui mi ha rubato il primato (ride, ndr). Ma queste sono scaramucce tra amici che si vogliono bene.
Qual è il ricordo più bello nella tua lunga carriera?
Certamente, la promozione in Serie A nella stagione 1964/65. Quante emozioni... Poi, andai al Napoli, dove giocai con Sivori, che era il mio idolo. L’ho sempre imitato fin da piccolo, giocando con i calzettoni abbassati, come faceva lui.
Diventando calciatore, hai coronato il tuo sogno oppure pensavi a qualcos’altro per la tua vita?
Fin da piccolo, ho sempre giocato a calcio, soprattutto nel mio oratorio di Sant’Antonio in città. Trascorrevo lì tutto il mio tempo libero e, quando tornavo a casa con le scarpe sporche di fango, mia madre mi sgridava, perché avevo in testa soltanto il pallone. In quel tempo, il parroco era padre Bevilacqua, che poi divento anche il primo parroco cardinale.
Che ricordo hai di lui?
Mi dava tante sberle, come mia mamma, perché, pur essendo un chierichetto, non andavo a messa per giocare a calcio. A quel tempo, l’educazione veniva trasmessa a suon di ceffoni. Non sono comunque cresciuto male!
Dall’oratorio sei passato al Brescia Calcio e anche in questo contesto hai trovato un sacerdote...
Sì, il cappellano mons Cavalli. In quegli anni (come adesso, ndr), il don veniva in ritiro a celebrare la Messa il giorno prima della partita. Io, Berlusso e Berlanda diventammo i chierichetti “titolari”. E poi servivamo anche alla Messa di mezzanotte a Natale in San Giuseppe. La chiesa si riempiva forse più per amore del Brescia che non del buon Dio.
Cosa hai provato quando hai appeso le scarpe al chiodo?
Non è stato per niente facile lasciare il calcio dopo aver giocato ben 16 campionati nel Brescia ed uno nel Napoli. Ho avuto, però, la fortuna di essere coinvolto nel settore giovanile e di insegnare a futuri campioni: Hamšík, Viviano, El Kaddauri, Zambelli, Rispoli… Ancora oggi mi telefonano. È una grande gioia.
Ed ora ti sei fermato?
Nel 2025, compirò ottant’anni: è tempo di mettermi alla finestra. Devo dire che il calcio italiano non mi piace più. Preferisco guardare quello inglese. Non mancano, però, le eccezioni come Bisoli nel Brescia: ci mette tantissimo cuore e impegno. Sembra un giocatore di un’altra epoca... Fossero tutti così i giocatori, vivremmo e vedremmo un altro calcio...
Che desiderio ti è rimasto in fondo al cuore?
Da uomo di sport, vorrei vedere tutte le tifoserie gemellate senza più conflitti e senza più egoismi. Basta risse, basta scontri, basta odio e vendette. Forse un giorno avremo ancora ragazzi e famiglie allo stadio… e sarebbe la vittoria dello sport!
Nel tuo percorso, hai incontrato padre Bevilacqua e mons. Cavalli. Pensi che la Chiesa, oggi, possa ancora dare un contributo al mondo sportivo?
Certamente sì. La mia grande preoccupazione è rivolta al fatto che stanno sparendo gli oratori nei quali si giocava per la passione, la voglia di divertirsi e di stare con gli altri ragazzi. Oggi, quando vado nel mio vecchio oratorio, non trovo più nessuno che gioca a calcio: i ragazzi rimangono negli angoli con il cellulare… Non c’è più il bisogno di stare insieme, di sudare sul campo di calcio, di vincere la partita. Oggi i ragazzi sono sempre più soli.
E il tuo rapporto con Dio?
È ottimo. Lo prego sempre mattina e sera come mi hanno insegnato i miei genitori: sono loro il segreto per avere dei figli saggi e ben educati. Il rapporto è un po’ meno con la chiesa… e questo non per colpa delle sberle di padre Bevilacqua!