Quel vizio del gol senza confini
Luciano Adami, classe 1957, si racconta: dai gol con il Brescia e con il Lumezzane ai campetti di provincia dove ha giocato fino a 43 anni
Se digitiamo su Google il nome di Luciano Adami, la risposta di Wikipedia è semplicemente “calciatore italiano”. Se invece la stessa domanda la giriamo agli esperti del calcio bresciano, troviamo altre definizioni: “Il Grande Ciano Adami”; “Bomber vero”; “Quello sì che dava del tu al pallone”; “La leggenda del Lume”. Classe 1957, la sua carriera ha avuto inizio a Bagnolo Mella nelle giovani della Bagnolese per poi spiccare il volo alla Feralpi Lonato dove in una stagione in D segna la bellezza di 28 gol. Il suo bottino non lascia indifferenti i dirigenti del Brescia, che l’anno dopo lo vogliono in prima squadra facendolo esordire in serie B. Tra i professionisti Adami ha giocato nel Brescia, nel Piacenza, nella Virescit e nella Sambenedettese prima di ritornare, all’età di 31 anni, ad essere protagonista nelle squadre dilettanti della nostra provincia. Nel 1988 con i suoi gol contribuisce alla vittoria del campionato di “promozione” del Lumezzane. Adami ha smesso di giocare a 43 anni, ma quando gli si ricorda che è stato un grande calciatore, confida che “l’importante è essere ricordati come brave persone: il calciatore passa, la persona resta”. Se gli chiedi la formazione dei più bravi con cui ha giocato, non si sbilancia. Ha “giocato con tanti calciatori bravi”. Tra questi Marco Simone, suo compagno alla Virescit, e Gigi Cagni dal quale “ho imparato la cultura del lavoro. Mi ha insegnato a dare il massimo ad ogni allenamento e a essere un professionista fuori dal campo”.
Lei, dopo avere segnato, in due anni, la bellezza di 52 gol nella Feralpi Lonato, venne notato dal Brescia che la tesserò facendola esordire tra i professionisti. La sua storia ricorda un po’ quella di Moreno Torricelli…
O quella del Mitico Villa mio compagno nella rappresentativa Lombarda. Lui dall’Omas Pontevico passò all’Orceana in serie C e poi al Bologna di Maifredi dove disputò anche la Coppa Uefa.
Maifredi raccontava in un’intervista: “Quando allenavo in Valgobbia ci si trovava tutte le settimane al ristorante ‘Ca’ de Odol’: lì gli industriali di Lumezzane spinti dalla passione, firmavano assegni che servivano a rinforzare la squadra”. Un calcio che non c’è più…
Lumezzane per me fu la ciliegina sulla torta. C’erano in società industriali del calibro di Bonomi, Saleri, Ghidini e Camozzi, gente che avrebbe potuto fare il presidente di qualsiasi squadra, anche di categorie superiori. Avevano passione e un’enorme disponibilità economica.
Dalla Feralpi Lonato in D al Brescia in B, com’è stato il salto dai dilettanti al professionismo?
È stato come toccare il cielo con un dito, in un momento dove ormai non ci speravo più. Passavo dagli allenamenti fatti la sera dopo il lavoro ad allenarmi il mattino e il pomeriggio: un sogno. Il primo anno non feci molte presenze ma alla fine dell’anno risultai il miglior marcatore della squadra, una soddisfazione.
Lei ha sempre avuto la testa del professionista. Anche oggi si racconta che segue un menù alla Pippo Inzaghi: pasta in bianco e bresaola… È stato questo il segreto di una carriera cosi longeva?
Diciamo che dipende sicuramente dal tipo di vita che uno conduce, ma anche dagli infortuni rimediati in carriera. L’ultimo anno a Ghedi segnai 15 gol. Avrei potuto continuare ancora qualche altro anno ma prima o poi bisogna smettere.
Com’è cambiato il calcio rispetto a quello che giocava lei?
È cambiato totalmente sia dal punto di vista della velocità del gioco sia nel modo di preparare le partite. Una volta i giocatori tecnici avevano più libertà, ora vengono pressati subito: c’è meno tempo per pensare. Le preparazioni estiva erano di due settimane dove nella prima non si vedeva il pallone; oggi sarebbe impensabile. Da questo punto di vista è cambiato in meglio.
Nel 1988 ritorna ad essere un dilettante. C’è stato qualche compagno o avversario che le ha fatto pensare: “Perché questo non gioca nei professionisti?”
Edgardo Zanola. È un mistero il fatto che un giocatore con quelle qualità non sia stato notato. E poi Mauro Saleri che avrebbe davvero potuto giocare in Seria A.
Lei in un’intervista ha dichiarato: “Ho allenato un po’ i bambini del mio paese, ma ora preferisco guardare le partite”. Ma se non allena lei, chi deve insegnare calcio ai bambini?
Ho allenato per vent’anni ma ora gli stimoli sono un po’ calati. Se manca l’entusiasmo come puoi trasmetterlo ai ragazzini? Meglio lasciar stare. Comunque ora seguo il San Paolo, una società di amici, che militano in seconda categoria.
Vive a Bagnolo Mella, lo stesso paese di Eugenio Corini: vi conoscete?
Conosco Eugenio da sempre anche se lui è molto più giovane di me. Tutti gli anni lo invitiamo alla partita del cuore che organizziamo per beneficenza allo stadio di Bagnolo e viene sempre.
I gol in carriera sono parecchi, ci racconta il gol più bello?
Ne ho fatti tanti, porto nel cuore il gol con il Lume nello spareggio di Chioggia; ma quello che d’istinto mi sento di ricordare è la mia prima doppietta nel Brescia, in Brescia-Bari.
In casa c’è un nuovo Adami che potrebbe seguire le sue orme ?
Io ho avuto una figlia ma seguo spesso il figlio di mio nipote Paolo che gioca nel Leno e qualche gol bello lo fa ma non è come lo zio (ride, nda)...
Nella stagione 1982-83 Nedo Sonetti la vuole alla Sambenedettese in Serie B. A stregarlo fu un suo gol nella stagione precedente (Brescia-Samb 1-1) che lei segnò a Walter Zenga, portiere dei marchigiani. In quella stagione lei risulterà il miglior marcatore della squadra… Fu una grande stagione?
Non fu bellissima a causa di una brutta distorsione rimediata a Palermo che mi costrinse lontano dai campi per parecchio tempo. Segnai comunque sette gol, avrei voluto ripagare meglio la fiducia di Sonetti che mi aveva voluto a tutti costi nelle Marche. Era la mia prima esperienza lontano da casa, trovai una piazza calda piena di tifosi entusiasti.
Luciano Adami con le difese attuali quanti gol segnerebbe a stagione?
Non lo so ma di sicuro segnerei. Il fiuto del gol è importante ma la cosa che fa la differenza è la rabbia nel cercarlo. Ai miei tempi le marcature erano ad uomo, quasi asfissianti, diciamo che ora con la difesa a zona, le possibilità aumenterebbero.
Mi racconta un aneddoto?
Nell’estate del 2012 decisi di tornare al mare dalle parti di San Benedetto del Tronto, dove avevo giocato nel 1982. Quando scandii al telefono il mio cognome, il titolare dell’albergo mi incalzò: “Lei è quel Luciano Adami, il baffone che nel 1982 segnò all’esordio il gol del pareggio contro il Como?”. Quando arrivai in albergo fu una festa, mi viene ancora la pelle d’oca a ricordarlo.