Marcolin: da giocatore ad allenatore
Il bresciano Dario Marcolin, commentatore e allenatore, si racconta in questa intervista. Da giocatore ha vinto gli Europei con l’Under 21 nel 1992 e nel 1994 e uno scudetto nel 2000 con la Lazio
Quando si dice che tanti campioni del calcio sono nati nella nostra terra non si sbaglia, ma non bisogna dimenticarsi che non tutti sono cresciuti calcisticamente nel Brescia. Dario Marcolin, classe 1971 da viale Piave, dopo la Rigamonti, passa nelle giovani della Cremonese dove nel 1989 fa l’esordio in serie A. Dario ha giocato nella Cremonese, nella Lazio, nel Napoli, nel Cagliari, nel Blackburn, nella Samp, nel Piacenza e nel Palazzolo. Nel 1992 e nel 1994 vince il campionato Europeo con la nazionale under 21 allenata da Cesare Maldini. Partecipa alle Olimpiadi di Barcellona 1992 con la nazionale Olimpica eliminata ai quarti dalla Spagna di Pep Guardiola. Finita la carriera di calciatore, inizia ad allenare, attività che alterna con quella di commentatore sportivo. Attualmente collabora con Dazn.
Lei giocò in una serie A piena di campioni di caratura mondiale, quando il campionato italiano era il più bello del mondo. Oggi non sembra proprio più così, basti pensare alle quattro squadre inglesi finaliste nelle due competizioni europee più importanti…
La seria A ha vissuto momenti migliori, come campionato non sembra molto allettante per i big visto le ridotte disponibilità economiche rispetto ai grandi club della premier. L ’arrivo di Ancelotti e Cristiano Ronaldo hanno portato certamente maggior qualità, ma non è ancora abbastanza per ritornare ai vecchi fasti.
Qual è il ricordo calcistico più bello che si porta dentro?
La vittoria dello scudetto con la Lazio nel 2000, certe vittorie segnano la carriera.
Lele Adani, ex giocatore e commentatore televisivo, dopo una partita litiga in diretta con Allegri, per alcune considerazioni legate alla partita in questione. Lei che è stato giocatore, allenatore e spesso è commentatore... non pensa che si stia un po’ esagerando con certi commenti?
Quando parli con un allenatore devi essere preparato e sapere che tattica ha utilizzato durante la partita. Poi bisogna capire anche che un allenatore quando arriva ai microfoni, ha vissuto un periodo di tensione non indifferente per tutti i 90 minuti, magari ha perso e litigato con il direttore sportivo o con qualche giocatore. Bisognerebbe tener conto di tutti questi fattori, poi l’opinionista fa il suo lavoro.
Il consiglio più prezioso che le hanno dato quando era ragazzino…
Diverti, gioca per divertirti. Quando non c’è la tensione per la partita e ti stai divertendo escono le cose migliori.
Non le chiedo la formazione dei più forti con cui ha giocato ma la formazione dell’ultimo anno alla Rigamonti prima di passare alla Cremonese…
La formazione non me la ricordo, solo alcuni nomi: Stefano Preti attaccante, Fabiano Franzoni centrocampista ma anche centrale difensivo, Vittorio Co’ e un certo Marco che tutti chiamavamo Prohaska…
Dal Brescia Calcio sono nati parecchi talenti, perché lei andò alla Cremonese?
Il Brescia non mi aveva mai cercato. In quegli anni i settori giovanili più in voga erano quelli dell’Atalanta e della Cremonese. Siamo andati al provino in due: io che ero un giovanissimo e un allievo, un certo Filippini.
Metta in ordine di talento questi nomi, tutti suoi compagni, durante la carriera: Chiorri, Gascoigne, Signori e Mancini.
È difficile fare una graduatoria visto che erano tutti diversi: Chiorri, genio puro anche se un po’ altalenante a livello di prestazioni. Paul Gascoigne grande classe ma follia pura, sia fuori sia dentro il campo. Mancini un allenatore in campo con una classe cristallina. Signori una freccia, con un sinistro magico. Il suo tiro in diagonale lo avevamo battezzato il “canalone”, da sinistra verso destra era letale per i portieri.
Facciamola ora dei giocatori bresciani con cui ha giocato: Luzardi, Baronio, Piovanelli, Corini…
Luzardi un ottimo marcatore, cattivo, bravo sia nella marcatura ad uomo sia in quella a zona portata da Arrigo Sacchi. Baronio un regista dai piedi fantastici. Piovanelli, un centrocampista di buona tecnica. Corini grande tattico, diciamo che è stato il primo registra giovane in Italia, giocava a due tocchi, un Guardiola italiano.
All’Inter quando faceva il secondo di Mancini ha visto esplodere Mario Balotelli, che dopo la promozione in A del Brescia postava sui social messaggi di stima e congratulazione per il traguardo raggiunto. Gli consiglierebbe di venire a Brescia?
Mario è un grande giocatore, forse l’attaccante più completo che abbiamo in Italia. Se pensasse solo al calcio sarebbe il centravanti inamovibile della nostra nazionale per i prossimi dieci anni: sa far tutto. Sì, gli consiglierei di venire a Brescia perché potrebbe consolidare la sua carriera e Cellino, che io ho avuto a Cagliari, lo saprebbe gestire al meglio.
Corini con lei vinse gli Europei, l’ha chiamato dopo la promozione?
Non lo sento da un po’, ma nutro grande affetto per l’uomo e per il professionista. Ha fatto un grande campionato con il Brescia con quel “4 3 2 1” che si è rivelato vincente.
Quando un allenatore può dirsi bravo?
Quando vince i campionati e lo cercano squadre importanti.
Se dovessi descriversi come giocatore?
Ero un regista puro.
L’allenatore che le è rimasto nel cuore?
Gigi Cagni, bresciano come me, ha cambiato la seconda parte della mia carriera alla Samp e Zeman alla Lazio che mi ha fatto vedere un calcio diverso.
Il sogno olimpico (Barcellona 1992) fu interrotto dalla sconfitta con la Spagna, che schierava il suo pari età Pep Guardiola…
Era uno squadrone. Non c’era solo Pep, c’erano anche Luis Enrique e altri futuri campioni. Noi eravamo una buona squadra ma non pronta per vincere. Quell’anno mi era capitato non solo Guardiola come avversario, ma anche altri pari età dal futuro segnato: Zidane, Rui Costa e Figo…