Buizza, con la scusa del gol
Alberto Buizza alla fine della carriera ha scritto un libro (il ricavato è andato alla scuola Nikolajewka) per raccontare il calcio dei dilettanti
Alla fine della sua carriera calcistica ha scritto il libro “Con la scusa del gol: storie, amicizie, emozioni di un dilettante professionista. L'ha scritto come ringraziamento verso un sport che gli aveva regalato tante soddisfazioni tanti amici e tanti aneddoti. Alberto Buizza è stato un bomber di razza; dopo la primavera nel Piacenza, ha giocato in parecchie squadre di alto livello dilettantistico: Darfo, Breno, Verolese, Feralpi, Palazzolo e Fanfulla. Il proliferare di gol in una sola stagione lo fa tornare tra i professioni, all’Orceana prima e al Pergocrema poi, segno di un giocatore che non ha mai mollato, lottando domenica dopo domenica. Alberto Buizza, classe 1963, nasce nel quartiere Don Bosco, a Brescia, dove muove i primi passi calcistici all’oratorio, prima di passare al Villaggio Sereno e spiccare il volo. Buizza è stato anche allenatore delle giovanili, ruolo che, per un periodo, ha diviso con quello di giocatore e poi, dopo aver terminato la carriera di calciatore, ha proseguito per ancora qualche anno, nelle squadre dilettanti di categoria.
Come le venne l’idea, peraltro “molto originale” per un calciatore dilettante, di scrivere un libro in un periodo storico dove a raccontarsi erano solo i professionisti?
In effetti sembrava un’idea bizzarra ma pensandoci non era cosi strana, del mondo del professionismo si sapeva tutto del dilettantismo quasi niente. E’ stato un modo per raccontare questo calcio tra l’altro molto seguito e motore trainante del calcio vero. Il ricavato andò in beneficenza alla scuola degli “alpini” –Nikolajewka- fu una soddisfazione consegnare l’assegno di 4.020 euro.
Che cosa è stato il calcio per lei?
E’ stato tutto. Per questo sport ho sacrificato tutta la mia vita. Iniziai al Villaggio Sereno dove mio papà era presidente; ho dato ma ho anche ricevuto tanto.
Darfo, Breno, Verolese, Feralpi, Fanfulla, Palazzolo tante squadre di alto livello…tra i tanti giocati qual è l’anno che incornicerebbe?
La stagione ‘88-‘89 alla Verolese: segnai trentasei gol in un campionato di promozione a sedici squadre , non esisteva ancora l’eccellenza. Rimase il record italiano per dodici o tredici anni e fu grazie a quella stagione che coronai il sogno di fare il professionista.
Dopo questa annata prolifica si accendono i riflettori e sale in serie C, se la ricorda la partita d’esordio?
Esordii in Novara-Orceana, ma se devo scegliere una partita “mitica” dico “Lumezzane-Verolese” dell’anno precedente; era uno scontro al vertice del campionato di promozione, gli spettatori paganti quella partita furono 4.200... dopo tre minuti di gioco feci un gol da cineteca! Ancora oggi c’è gente che quando mi incontra me lo ricorda.
Perché si definiva un professionista dilettante?
Ho sempre pensato che le cose, se si fanno, vanno fatte al meglio. Questa è stata la mia filosofia, da sempre. Per il calcio ho rinunciato a tutto: niente discoteche, alimentazione corretta, niente vizi, a letto presto il sabato sera … ho vissuto per il calcio come se fosse il mio primo lavoro. Viste le emozioni che mi ha regalato, non me ne sono mai pentito.
Le giovanili del Piacenza, poi i dilettanti e ritorno in serie C dopo parecchi anni (Orceana, Pergocrema), non ha mai mollato…
Il mio obiettivo, fin da bambino, quando ho iniziato a dare i primi calci ad una palla, era fare il calciatore professionista. L ’ho fatto solo per un paio di anni e ci ho messo venticinque anni ad arrivarci, ma ci sono arrivato.
Chi è stato il suo idolo calcistico?
Paolo Rossi era il giocatore a cui mi ispiravo di più; con le dovute proporzioni, avevamo le stesse caratteristiche. E poi portavo il nove, come lui.
Cosa fa ora Alberto Buizza?
Ho giocato fino a quarant’anni e questa è stata una fortuna. Ma come cercavo di trasmettere ai ragazzi che allenavo, la fortuna va aiutata con l’allenarsi bene e con la vita sana. Poi per dieci anni ho fatto l’allenatore di squadre dilettanti di categoria. Da tre anni non alleno più, mi godo il tempo libero, non più scandito da un pallone.
C’è qualche aneddoto, che una volta stampato il libro le ha fatto esclamare: perché non l’ho messo?
Il gol nella primavera del Piacenza al Torino; ci fecero giocare al vecchio Filadelfia, stadio storico del Toro. Pensare di aver giocato nello stadio di una squadra mitica come il grande Torino mi fa emozionare ancora oggi: indimenticabile.
Lei era nella lista dei giocatori dilettanti in corsa per il pallone d’oro alla carriera, premio vinto qualche anno fa da Carletto Bonomi, una soddisfazione…
E’ stato un onore essere in quella lista piena di ottimi giocatori e di ottimi uomini.
Una volta la tecnica e l’abilità con la palla la si imparava per strada e nei vari Oratori, ora solo nelle scuole calcio. Come è cambiato il modo di approcciarsi al calcio?
Ho imparato a calciare con i due piedi e a tirare al volto sotto il portico della casa che prendevamo in affitto per le vacanze a Manerba del Garda. Poi tanto cortile in città e tanto oratorio. Una volta le scuole finivano alle 13, si mangiava e poi tutti all’oratorio per le interminabili partite.
In una carriera cosi longeva come la sua se la sente di ricordare un presidente, un allenatore, un direttore sportivo e un avversario…
Sinceramente non me la sento, farei un torto a qualcuno perché le squadre sono state tante e tanti i compagni. Se vogliamo vedere, non sono stato una bandiera per nessuna squadra, con la scusa che segnavo tanto dopo un paio d’anni i presidenti volevano monetizzare. Mi acquistavano principalmente per due motivi: facevo gruppo, grazie al mio carattere socievole, e facevo gol…
Ha giocato in C … ma alla serie B, che era lì appena sopra, non ha mai pensato?
Ho questa idea: se uno gioca nei dilettanti e solo cinquanta partite nei professionisti , è un ottimo dilettante. Ho solo il rammarico di non aver fatto qualche anno in più nei professionisti , ma va bene lo stesso. C’è tanta gente che mi stima per quello che sono stato come persona e come calciatore, questo mi basta.