Bodini: Zoff, Scirea e lo stile Juve
Luciano Bodini, per anni secondo di Dino Zoff alla Juve e oggi preparatore dei portieri nel Viareggino, si racconta in questa intervista
La carriera sembrava dovesse farla il gemello Meraldo visto che l’Atalanta quando giocavano tutti e due nelle giovanili della Feralpi aveva scelto lui: “Se non viene anche mio fratello Luciano, non vengo”. La storia poi ha detto un’altra cosa, sebbene Meraldo sia stato un buon giocatore ma costretto ai margini dai numerosi infortuni. Luciano Bodini, bassaiolo di nascita (Leno) ma cresciuto nel quartiere Lamarmora in città, ha collezionato panchine con l’Atalanta ancora da giovanissimo, per poi esordire tra i professionisti con la Cremonese e far ritorno all’Atalanta dopo alcuni anni di gavetta. Secondo per tanti anni di Dino Zoff alla Juventus, poi al Verona e infine all’Inter, quando Trapattoni, suo ex allenatore alla Juve, lo vuole come terzo portiere. Luciano vive a Pietrasanta da anni dove prepara i portieri di alcune squadre della zona. “Prima di ogni allenamento facciamo sempre una partitella sul sintetico, tre contro tre, se il calcio è una passione finché puoi devi giocarlo”.
All’Atalanta collezionava panchine già da giovanissimo, poi l’esordio a Cremona dove rimane per alcuni anni in prestito, cosa si ricorda dell’esordio?
Spesso a 16/17 anni andavo in panchina con la prima squadra. Opto per andare a Cremona a farmi le ossa, gioco tre anni, vinciamo il campionato e andiamo in serie B. L’allenatore era Titta Rota scomparso il 10 luglio: la partita dell’esordio era contro il Chioggia Sottomarina. Con l’Atalanta ho esordito contro il Perugia.
Dall’Atalanta passa alla Juventus di Boniperti, con chi andò a firmare il contratto?
Ricordo le visite mediche, e che ritornai al mare dopo l’esito positivo del Dottore e di essermi presentato dopo qualche settimana nel ritiro di Villar Perosa.
Boniperti, suo Presidente alla Juventus, quando voleva chiudere i contratti chiamava i giocatori in sede, li teneva in ufficio dieci minuti, li faceva firmare in bianco e poi lui metteva la cifra… Era cosi?
Ah! ride (nda) Sì, pressappoco. Veniva a Villar Perosa e parlava con i giocatori in privato per almeno due tre ore. La cifra era sempre quella giusta, non ho mai litigato per il contratto, quello che mi dava andava sempre bene.
La nazionale del 1982 aveva un nutrito gruppo di juventini… i suoi compagni di squadra cosa le hanno raccontato di quella esperienza?
Gaetano Scirea, con il quale ero legatissimo perché avevamo fatto insieme tutte le giovanili dell’Atalanta, mi raccontava che era una sensazione indescrivibile, stupenda, forse la più bella al mondo per un giocatore che come noi giocava per passione.
Lei è stato per anni il secondo di Zoff, senza mai fare una polemica, come era il rapporto con Dino? Come l’ha vissuta questa competizione?
Zoff era il portiere più forte al mondo. Ho imparato tanto. Da questo tipo di giocatori, che sono anche uomini, si impara molto anche fuori dal campo. Dino ti insegnava a non mollare, a dare tutto: poche parole e tanta sostanza. Se cadevi, ti diceva di rialzarti subito; a lui non piaceva chi faceva le sceneggiate.
Perché ha scelto di essere sempre il secondo di Zoff?
Ho avuto anche la possibilità di giocare parecchio e mi sono sempre fatto trovare pronto. Dino era Dino. Poi lo stile Juve, era un’altra cosa rispetto alle altre squadre. Chi è andato via se n’è accorto subito.
Si metta titolare, scelga i dieci migliori con cui ha giocato?
Bodini, Cabrini, Gentile, Scirea, Talami, Sironi, Bianchi (Ottavio), Moro, Boniek, Platini e Rossi.
Gaetano Scirea per lei era un fratello, me lo racconta?
Era una persona eccezionale, molto riservata. Come giocatore era elegantissimo, il più forte nel suo ruolo. Non c’erano né Beckenbauer né anni dopo Baresi. Quando decideva di partire palla al piede e uscire dalla difesa in tre passaggi andava in porta. Se guardi bene le partite della finale di Madrid 1982, lui entra in modo determinante in tutti e due i gol segnati da Tardelli e da Altobelli.
Ha vinto la Coppa Campioni con la Juventus in quel maledetto stadio di Bruxelles. La partita era da giocare?
La partita non andava giocata. Il calcio è una festa come poteva esserlo con tutte quelle persone a terra? Io ero in panchina, quindi non facendo riscaldamento, avevo purtroppo visto tutti quei corpi coperti da lenzuola bianche. Si avvicinò alla panchina un mio amico che era tra il pubblico e mi disse: “Mi sono salvato per un pelo, ci sono parecchi morti”. Boniperti e Morini non volevano giocarla, fu una imposizione dall’alto, per non peggiorare la situazione. Per mesi non ho dormito a pensare a quelle scene.
Se dovesse riavvolgere il filo della sua carriera cosa non rifarebbe più?
Semplice, rifarei tutto quello che ho fatto.
Zenga qualche giorno fa su un quotidiano nazionale sosteneva che la scuola di portieri brasiliana è molto valida ma che quella italiana è ancora la migliore…
Ha ragione. Ma il problema è un altro, vedo poca gente che nasce con il talento da portiere, giovani che ce l’hanno nel sangue sono sempre meno, quindi per costruirli ci vuole tanto tempo. Io ero portiere per vocazione, anche se non mi allenavano. Tra gli emergenti, ho sentito parlare bene di Meret, il portiere della Spal passato al Napoli.
Sente ancora qualcuno di quella Juventus?
Sì, ho giocato dieci anni nella Juve. Capita al telefono con parecchi per gli auguri di Natale. Sento regolarmente Prandelli, Tricella e i fratelli Bonetti. Boniperti lo vedevo quando veniva al mare da queste parti.
Giocare nella Juventus è stata la cosa più bella al mondo?
No, La cosa più bella al mondo è avere un figlio dalla donna che si ama… poi arriva la Juventus.