La società civile dentro il carcere
Il carcere è un luogo del tutto particolare, un mondo nel mondo, dove tutto quello che a noi sembra normale e acquisito cambia totalmente a partire dal tempo lungo e vuoto, tutto quello che prima era il tuo mondo, i tuoi affetti improvvisamente scompare, ti trovi scaraventato in un mondo sconosciuto, condividi la cella con persone che non hai mai visto, se vuoi fare una telefonata devi aspettare il giorno e l’orario stabilito, oltre alle dure regole del carcere devi sottostare a quelle dei detenuti più anziani che talvolta sono ancora più dure, se hai mal di testa devi pazientare ore, talvolta di più per avere un semplice antidolorifico. Noi società civile passiamo davanti a un Istituto di Pena senza soffermarci a pensare a quanta sofferenza, quanta privazione porta questa esperienza, che a volte dura molti anni, pensiamo che questo possa accadere solo agli altri, che la pena deve essere dura perchè se la meritano, tuttavia durante i colloqui con i detenuti mi sono resa conto di quante siano le occasioni inaspettate che poi tragicamente portano in prigione.
Credo sia importante ed educativo per entrambe le parti che la società civile incontri il carcere, senza questo contatto diventa difficile per chi ha sbagliato intraprendere quel percorso di rieducazione che sta alla base dell’articolo 27 del codice penale, il tempo della detenzione non deve solo punire, ma anche avviare a un reinserimento, la sicurezza non sta nel tenere chiuse le persone che hanno commesso un errore perchè prima o poi escono e se non c’è stata un’attenzione alla persona tornano a delinquere, non perchè sono “cattive”, ma perchè il pregiudizio e l’esclusione non danno altra possibilità, non per nulla la recidiva in Italia supera il 70 per cento. Il volontariato in carcere non è facile non solo perchè si ha a che fare con um’umanità fragile, complessa, spesso disperata ma anche perchè le regole interne sono ferree e non ci si può permettere di sbagliare ma, mancando un’adeguata formazione, spesso si impara sbagliando. L’ascolto attento ed empatico è la richiesta più urgente di un detenuto, più ancora delle prime necessità e così ti trovi condotta dentro vissuti drammatici e ti rendi conto che talvolta in quella situazione la persona non aveva altra scelta.
Tra le tante ricordo la storia di Angelica, a un anno i suoi genitori sono stati arrestati per spaccio e lei è stata portata in un istituto di suore a Barletta, il fratello affidato a parenti, a cinque anni il padre è andato a riprenderla e la famiglia si è riunita, sembrava che tutto andasse per il meglio quando, dopo un po’ di tempo, Angelica e suo fratello avevano faticosamente ripreso la scuola e una vita quasi normale ecco che sul tavolo ci sono bustine, arrivano persone che le prendono e lasciano soldi. Di nuovo i genitori entrano in carcere e, a dieci anni con il fratello, per sopravvivere Angelica comincia a spacciare, inizia una lunga storia di entrate uscite dal riformatorio e poi dal carcere per entrambi. A trent’anni Angelica ne aveva passati quindici dentro, nel cuore sempre il desiderio, la speranza di una rinascita ma mai nessuna possibilità e così l’alcool, gli abusi, la strada. Angelica era una ragazza determinata e nello stesso tempo fragile con un’immenso bisogno di affetto, le ho voluto bene, l’ho seguita a lungo dentro e fuori, ci siamo salutate definitivamente due anni fa quando per l’ultima volta l’ho vista agli infettivi del Civile, è morta pochi mesi dopo di cirrosi epatica e....tanta disperazione.
Concludo riportando una parte dell’articolo apparso sul numero di novembre 2021 della rivista carceraria Ristretti Orizzonti della redazione di Parma a cura della responsabile Carla Chiappini: "...Non basta aver visto il carcere per comprenderlo. Non basta nemmeno aver sentito gli odori, i rumori. Bisogna averlo camminato tanto, ascoltato tanto, bisogna aver avuto il coraggio di instaurare relazioni complesse, spinose, delicate in un equilibrio instabile che deve essere continuamente adattato e ristabilito, con le persone detenute ma anche con gli operatori impegnati ogni giorno in un ambiente non proprio facile. Coraggio e prudenza, curiosità e delicatezza. Una miscela non facile che ti richiede spesso di mettere in discussione ciò che ti sembrava acquisito. E non basta nemmeno una competenza giuridica, pur utile e necessaria, perchè il carcere non è solo regole, mura, spazi, metri, parole che cambiano ma realtà immutate. Il carcere sono persone, carne viva, emozioni, storie, culture”.