Mons. Monari: come Paolo VI tendere al superamento della frattura tra fede e vita
In San Francesco a Brescia la Messa dei ceri e delle rose, quest'anno coincisa con la chiusura dell'anno montiniano
Questo il testo della sua omelia.
Concludiamo oggi, nel nome del Signore, l’anno montiniano con cui abbiamo inteso accompagnare il dono grande della sua beatificazione da parte di papa Francesco. Ho il dovere di ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a progettare e attuare le iniziative che sono state proposte: penso al comune di Brescia, alla parrocchia e alla città di Concesio, al Santuario delle Grazie e soprattutto a don Antonio Lanzoni che ha tenuto le fila di tutti i diversi eventi con passione e creatività. Il bilancio appare molto positivo per il crescente interesse che si è mostrato nei confronti della figura di papa Montini, per le visite e i pellegrinaggi che si sono succeduti con frequenza alla sua casa natale e all’Istituto Paolo VI. Certo un merito speciale va riconosciuto a papa Francesco che non perde occasione per parlare di Paolo VI con ammirazione e riconoscenza. Proprio la testimonianza di papa Francesco ha probabilmente condotto molti a riscoprire la figura del papa bresciano che tanta importanza ha avuto nella vita della Chiesa del secolo scorso. Soprattutto diventa sempre più evidente il legame di papa Montini col Concilio; sia perché la celebrazione del Concilio è stata guidata e portata a compimento da lui; sia perché l’attuazione del Concilio è legata in massima parte a sue decisioni. Amare e onorare questo Papa, dunque, significa riconoscere che il Concilio è stata una pietra miliare nel cammino della Chiesa e che rimane anche oggi l’orizzonte che deve guidare le nostre scelte.
Che cosa custodire del patrimonio che abbiamo ripercorso in questo anno di memoria, di riflessione e di preghiera? La preoccupazione fondamentale nel pensiero e nel governo ecclesiale di Paolo vi è stata certamente il superamento della frattura tra fede e vita, tra la fede in Cristo e la cultura contemporanea. Papa Montini ha visto chiaramente che il vangelo non può giungere ad animare realmente la vita dell’uomo se non si supera la frattura con la cultura contemporanea segnata in profondità dalla scienza – e non solo per quanto riguarda le singole affermazioni delle discipline scientifiche, ma ancor più per quanto riguarda il metodo con cui la realtà del mondo e dell’uomo viene esplorata e conosciuta e trasformata. Non è questo il luogo e il momento di affrontare questo problema ma vorrei cogliere nel vangelo che abbiamo ascoltato – il vangelo dell’annunciazione – alcune linee che ci possano indirizzare. L’annunciazione è l’origine dell’evento cristiano, il compimento dell’incarnazione mediante la quale il Figlio di Dio, parola eterna nella quale il Padre dice se stesso, entra nella storia degli uomini come parola di Dio rivolta a loro: parola di amore, di perdono, di speranza. Di questa parola abbiamo bisogno ancora oggi nonostante le tante distrazioni dell’uomo d’oggi e la sua apparente indifferenza di fronte ai valori dello spirito. Ma la domanda diventa: come possiamo davvero ascoltare la parola di Dio? Come possiamo incarnarla nella nostra vita? Come annunciarla al mondo intero perché l’umanità intera ascoltando creda, credendo speri, sperando ami?
Più volte abbiamo cercato di cogliere, nel vangelo di oggi, il filo che unisce i tre interventi dell’angelo ai quali risponde un triplice atteggiamento di Maria. L’angelo prima rivela a Maria l’amore con cui Dio l’ha scelta per una missione [“Rallegrati, piena di grazia; il Signore è con te”]; poi definisce il contenuto di questa missione attraverso le parole che i profeti hanno rivolto al popolo nel corso dei secoli [“concepirai un figlio… sarà chiamato Figlio dell’Altissimo”]; infine annuncia il modo in cui questo Figlio sarà concepito [“lo Spirito Santo scenderà su di te”]. Al primo di questi interventi Maria rimane turbata, come fosse di fronte a qualcosa di più grande di lei; in un secondo tempo ella chiede all’angelo quale forma di obbedienza le venga richiesta da Dio; e infine, terza risposta, ella offre la sua totale disponibilità alla volontà di Dio: “Ecco la serva del Signore; avvenga di me secondo la tua parola.” La domanda diventa: come la nostra Chiesa, oggi, può fare suo questo evento di salvezza?
Gli elementi sono: da parte di Dio: amore di elezione, parola, Spirito; da parte della creatura: turbamento, ascolto, obbedienza. Fossimo anche noi capaci di turbamento davanti alla chiamata di Dio! Siamo stati creati a sua immagine e somiglianza; Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati davanti a Lui; in Gesù, suo Figlio unico, Dio ci ha fatti suoi figli; siamo destinati a essere partecipi della natura divina, scrive san Pietro…; la nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo, scrive san Giovanni… Potremmo continuare a ricordare tante espressioni della Scrittura per cogliere la grandezza di ciò che Dio pensa di noi e vuole fare di noi. Hanno qualche ragione quelli che dicono essere il cristianesimo troppo grande per l’uomo, troppo elevato per la sua fragilità. Se non fosse che tutto quanto abbiamo detto si costruisce non con le forze limitate dell’uomo ma attraverso una relazione di conoscenza e di amore verso Dio. Non ci viene chiesto di smettere di essere umani; ci viene chiesto di uscire dall’isolamento e di entrare in relazione col mondo, con gli altri, con Dio. È in queste relazioni che diventiamo realmente e pienamente umani; e nella relazione con Dio appare l’ultima, suprema misura della persona umana, quella che la rende trascendente e indisponibile a qualsiasi forma di manipolazione. Forse non è impossibile oggi, pur nella evidente confusione dei valori, condividere l’idea che l’amore è il compimento pieno della persona umana; che la persona umana è fatta per uscire da sé e incontrare l’altro, per superare l’egocentrismo e desiderare il bene degli altri. Ma quello che è difficile fare accettare è che c’è un ordine nell’amore: non tutto deve essere amato nella medesima misura e non tutto deve essere amato nello stesso modo. Non si amano nella medesima misura gli animali e l’uomo; non si ama nello stesso modo il coniuge e l’amico. E in questa gerarchia Dio solo può e deve essere amato “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze”, incondizionatamente. Se si riserva a Dio questo amore assoluto, allora anche l’amore verso le creature trova più facilmente la sua motivazione e il suo equilibrio.
La parola di Dio ci è data proprio per riuscire a mettere ordine nella nostra vita e nella vita delle nostre comunità. Se accogliamo l’amore di Dio con fede, i nostri pensieri si arricchiscono, i nostri sentimenti vengono vagliati e purificati, i nostri giudizi si sottomettono alla regola della verità, le nostre decisioni tendono a diventare sagge, i nostri comportamenti modificano il mondo nella linea del bene. Bisogna, però, che l’obbedienza a Dio sia sincera. È possibile, infatti, ricoprire con il nome santo di Dio i nostri interessi più o meno sporchi e i nostri risentimenti più o mano meschini; è possibile dare vigore alla volontà drogandola con una fantasia religiosa. La religione autentica è umile; la sapienza che viene da Dio è mite, affabile, serena; non è aggressiva, violenta, risentita. Una frequentazione abituale del vangelo produce, poco alla volta, questi atteggiamenti; ci mantiene in un atteggiamento autocritico, capace di riconoscere i propri errori. Questo vale per ogni singola persona, ma questo deve essere riconosciuto anche per i gruppi umani. Accanto all’egoismo individuale, infatti, opera frequentemente e con più gravi danni l’egoismo di gruppo: egoismo delle parti politiche, egoismo delle categorie professionali, egoismo dei gruppi di interesse tutti proiettati a difendere a oltranza il proprio vantaggio, senza disponibilità a vedere il bene di tutti. Si giunge a identificare il vantaggio della propria parte col bene sociale deformando i dati, selezionando le informazioni, surrogando la mancanza di motivazioni oggettive con l’ostentazione della propria forza. La parola di Dio, ascoltata con docilità, ha il potere di abbassare le altezze dell’orgoglio, di sgretolare le difese della paura, di mostrare la bellezza della verità.
Ma anche la parola non basta: essa illumina, critica, indica… ma rimane impotente se non è animata interiormente dallo Spirito. Quante pagine del vangelo conosciamo bene e tuttavia non giungono a cambiare i nostri comportamenti. Vedo il bene, lo approvo anche, ma non riesco a farlo; mi trascinano da altre parti l’abitudine alla quale non voglio rinunciare, la paura del prezzo che dovrei pagare, il timore per il giudizio degli altri. Per superare tutti gli ostacoli è necessario essere innamorati, niente di meno; giungere a desiderare così intensamente il bene da essere disposti a tutto per raggiungerlo. Ma il termine ‘bene’ rimane astratto se non lo si lega a un Dio personale e buono, che ama e stabilisce con noi una relazione di amicizia; e non so se sia possibile innamorarsi di un concetto, per quanto elevato. So, invece, quanto sia possibile innamorarsi di Dio; lo so per qualche momento di grazia che ha segnato anche la mia vita. Ma lo so soprattutto per la testimonianza dei grandi santi: di sant’Agostino, di san Francesco, di santa Teresa d’Avila, di Charles de Foucault; quello che i santi sono stati capaci di fare per amore di Dio ha dell’incredibile e diventa sorgente di speranza anche per noi, piccoli apprendisti della fede. Dunque: chiamata di Dio, parola, Spirito; turbamento, ascolto, obbedienza.
Il Papa apre oggi a Roma – e noi apriremo domenica prossima –Giubileo della Misericordia. Siamo consapevoli che della misericordia di Dio abbiamo un bisogno quasi fisico. Il cammino che abbiamo delineato, infatti, ci trova ogni giorno inadempienti; abbiamo bisogno di ritrovare lo slancio e questo non è possibile se non riusciamo a fare i conti col nostro passato, con le sue infedeltà e le sue debolezze. La misericordia di Dio ci permette di confessare il nostro peccato e nello stesso tempo di ripartire verso un traguardo più alto, fatto di maturità e di amore sincero. È un’opportunità che dobbiamo cogliere con riconoscenza e speranza profonda; ci affidiamo a Maria, serva del Signore, perché ci prenda per mano e ci insegni a incarnare il vangelo nella nostra vita personale e sociale.
REDAZIONE ONLINE
09 dic 2015 00:00