L’odissea e la paura
Da Kiev a Budapest e da qui all’aeroporto di Orio al Serio. Dopo aver lasciato domenica l’Hotel Opera di Kiev, il tecnico dello Shakhtar Donetsk, assieme all’allenatore in seconda Davide Possanzini e ai collaboratori Michele Cavalli e al clarense Giorgio Bianchi (nella foto il primo a sinistra), oltre che al direttore sportivo Carlo Nicolini, anche lui bresciano, di Caino, è arrivato dopo un’odissea tra treno e bus sino a Budapest, da dove i cinque italiani hanno fatto ritorno, lunedì scorso, in Italia . Ad aiutare l’ex mister del Sassuolo e il suo staff, il presidente della Uefa Ceferin. “Eravamo tutti nelle nostre abitazioni a Kiev, quando verso le 5 di mattina abbiamo udito 5 esplosioni. Al momento non capivamo bene cosa stesse accadendo. Poi attraverso tv e web ci siamo resi conto che era iniziato l’attacco”. Così Giorgio Bianchi narra le prime drammatiche ore del conflitto.
“Dalla sera prima – continua – erta stato dichiarato il coprifuoco sino a lunedì mattina e questo, sulle strade, significava essere un bersaglio. È stata organizzata una scorta della polizia e siamo riusciti a giungere alla stazione. “In Hotel ci sentivamo incastrati, senza contare che con noi c’erano 20 brasiliani, fra giocatori e famiglie, dello Shakhtar Donetsk. Dovevamo pensare anche a loro. La prima ipotesi, quella di arrivare al confine con un autobus, considerato che c’erano anche bambini e le code già presenti sulle strade, era impensabile”. Il pensiero di Giorgio Bianchi va poi va giocatori ucraini, attualmente nelle proprie abitazioni. “Gli uomini non possono lasciare il Paese. Con i ragazzi rimaniamo sempre in contatto. Sono spaventati, preoccupati. Speriamo finisca tutto al più presto. È impensabile un conflitto come questo nel 2022”. Prospettive? “Non saprei dire. Di fronte a una simile tragedia la questione occupazionale passa in secondo piano”.