I pazienti visti da vicino
La testimonianza di Lucrezia, infermiera all'Ospedale di Montichiari: "Difficile spiegare quello che abbiamo provato e che stiamo vivendo"
È stato ripetuto infinite volte, ma davvero non sarà mai sufficiente ringraziare gli “angeli”, come da settimane sono stati ribattezzati: loro sono medici, infermieri, sanitari, personale ausiliario che negli ospedali costituiscono il baluardo contro il Covid-19 finendo talvolta per rimetterci anche la vita, come eroi. Il nosocomio di Montichiari (foto Bams) è stato tra i primi a gestire l’emergenza Coronavirus dando prova, tramite i suoi operatori, di una straordinaria prova di forza e generosità, come ci racconta una delle infermiere professionali che vi lavora, ma che per motivi di privacy preferisce non rivelare le proprie generalità. “Difficile spiegare quello che abbiamo provato e che stiamo vivendo – rivela Lucrezia, nome di fantasia – soprattutto quando, a inizio marzo, ci siamo trovati catapultati in un lavoro straordinario con un aumento improvviso ed esponenziale dei casi di contagio riguardanti anche persone di 40, 50 anni. Con l’evolversi della situazione l’ospedale si è riconvertito in Covid-19 di fatto, a partire dal reparto di Medicina dove sono stati ricoverati i primi venti degenti e così via in tutti gli altri. Ancora oggi coloro che accusano patologie non legate al virus vengono dirottati altrove, negli ospedali più vicini, dove c’è posto”. Con l’aumento dei numeri di contagiati si è reso quindi necessario procedere ad un “accorpamento” di due reparti, Ortopedia e Chirurgia “poiché – dice ancora Lucrezia – diversi medici hanno optato per supportare i colleghi a Medicina o anche al Civile di Brescia dove vi era forte necessità”. Una situazione che sembra non conoscere soste anche se una timida speranza si sta affacciando in questi ultimi giorni: andavano prese dunque ulteriori decisioni per far fronte all’emergenza. “Con il pronto soccorso sempre affollato si è arrivati ad aprire in mensa uno spazio Obi”, un’area dotata di impianto con ossigeno dedicata ai pazienti soggetti alla cosiddetta “osservazione breve intensiva” per i quali è previsto un tempo di permanenza di durata minima, in genere non superiore alle 24 ore. Giorni che si susseguono spesso uguali, con il dolore nel cuore per quanti non riescono a farcela e muoiono lontano dagli affetti più cari, ma anche con la fiducia che non tutto è perduto: “Quando osserviamo un paziente migliorare, non aver più bisogno almeno di notte dell’ossigeno, quando lo vediamo sorriderci ed essere pronto per riprendere la propria vita anche se fiaccato e costretto alla quarantena, l’emozione è tanta e ci ripaga di tutto”.
Tra sconforto e fiducia. Di fronte ad un virus aggressivo come il Covid-19, lo leggiamo quasi quotidianamente, spesso sono indifesi anche medici e infermieri pur se bardati come astronauti: “È una situazione purtroppo conosciuta anche da noi, ho colleghe che si sono ammalate e sono costrette a casa, e spesso il personale ha timore di poter contagiare i propri familiari. Tra di noi c’è molto affiatamento, ammetto che i primi tempi sono stati i più duri e non sono mancate le lacrime. Ci è stato vicino anche il nostro Ordine delle Professioni infermieristiche di Brescia che ha messo a disposizione un sostegno psicologico riservato ai più fragili”. Poi c’è la grande ondata della solidarietà: “La sentiamo, la percepiamo, l’abbiamo notata fin dall’inizio, non saprei quantificare il numero di messaggi ricevuti da amici e conoscenti. E le donazioni, le tantissime offerte fatte per l’ospedale, che continuano”. La traversata nel deserto è ancora lunga, ma Lucrezia è fiduciosa: “Dal Covid-19 si può guarire, contro il Covid-19 vinceremo”. Una speranza che accarezza l’intera città.