I figli cresciuti da un intero paese
Gambara: i richiedenti asilo arrivati da profughi proseguono in autonomia. Dalla prima accoglienza nel 2016 ne sono stati accolti più di 20 dalla parrocchia
“La risposta alla sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Sono parole di Papa Francesco, pronunciate in occasione della Giornata internazionale dei migranti del 2019. A Gambara questi quattro verbi li hanno messi in pratica. La parrocchia ha infatti aderito ancora nel 2016 ad un progetto di accoglienza di persone richiedenti asilo, gestito con la Caritas diocesana di Brescia tramite la cooperativa Kemay, costituita proprio per rispondere all’appello all’accoglienza del Pontefice.
L’annuncio in chiesa. Ora, dopo quasi cinque anni giunge a termine questa esperienza. Con il lieto fine di un nuovo inizio: i richiedenti asilo arrivati da profughi, ora proseguiranno la loro vita in autonomia. Ad annunciarlo, durante la Messa, è stato il parroco. Don Luciano Macchina ha ricordato che “alla fine di marzo termina l’esperienza della parrocchia, ma ormai la vita di tanti di questi giovani è intrecciata con la nostra e alcuni di loro continuano a vivere nella nostra comunità partecipi della storia di Gambara e del suo tessuto sociale. Noi siamo felici di aver conosciuto tanti fratelli”. Durante la celebrazione sono state proiettate alcune immagini delle esperienze fatte e sono state lette due testimonianze. A conclusione i richiedenti asilo hanno distribuito ai partecipanti dei braccialetti a filo colorati, segno degli intrecci che queste presenze hanno portato nella comunità.
Il bilancio del progetto. Il bilancio del progetto è stato tracciato sul Bollettino parrocchiale. Nel settembre 2016 furono accolti i primi profughi in un appartamento di fronte alla chiesa. Da allora i ragazzi accolti e accompagnati verso un’autonomia lavorativa ed abitativa sono stati più di venti. Durante il loro percorso (che è andato dalla richiesta di protezione internazionale fino al rilascio del permesso di soggiorno) i volontari della parrocchia di Gambara si sono presi cura di questi ragazzi, accompagnandoli, educandoli, formandoli, promuovendo un vero e autentico processo di integrazione. Li hanno supportati nella gestione domestica della casa, gli hanno insegnato la lingua italiana, a fare economia con le risorse disponibili, a muoversi alla ricerca di un lavoro (alcuni di questi ragazzi oggi lavorano presso aziende agricole locali), coinvolgendoli in diverse attività nel Centro giovanile dell’oratorio.
L’etno-orto. È stata proposta anche l’esperienza dell’etno-orto: la coltivazione di ortaggi della cucina africana, utilizzando un appezzamento di terra messo a disposizione da alcuni volontari. In questo orto i profughi hanno potuto coltivare cipolle, patate, fagioli, peperoncini, pomodori, e fatta la passata per l’inverno. Il grazie della comunità al parroco ed ai volontari per questa bella, concreta, esemplare, esperienza di integrazione è stato corale.