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21 ott 2019 11:58

Dio abita la vita di tutti

Don Massimo Orizio, classe 1961 e originario di Berlingo, si appresta a iniziare il suo ministero come parroco di Casaglia

Classe 1961 e originario della parrocchia di Berlingo, don Massimo Orizio è il nuovo parroco di Casaglia. Nel suo ministero sacerdotale è stato curato ad Artogne, a Orzinuovi, a Travagliato, collaboratore a S. Anna, S. Antonio e S. Giacomo in città, a Verolanuova, a Urago d’Oglio, a Coccaglio e a Cologne. Dal 2008 è anche assistente diocesano dell’Azione Cattolica, servizio che continuerà a svolgere.

Don Massimo, proviamo a sintetizzare il suo percorso sacerdotale...

Il mio percorso di presbitero dentro questa Diocesi è quello di un uomo che ha vissuto la propria fede seguendo una vocazione a cui si è sentito chiamato e che sta cercando di scoprire, di vivere e di incarnare nelle circostanze della vita. Questo è sempre una fonte di crescita e di scoperta, di maturazione, di consolidamento, a volte anche di dubbi e di fatica, ma sempre animato e sorretto dalla fede.

Cosa ha imparato e sta imparando dall’esperienza associativa?

L’esperienza dell’Azione Cattolica mi ha dato l’opportunità di osservare da un punto di vista prospettico la mia vocazione battesimale, il mio ministero presbiterale e il modo di guardare alla Chiesa, alla comunità diocesana e alle comunità parrocchiali. Lavorare a stretto contatto con laici impegnati che vivono seriamente la loro vocazione battesimale è stata una scoperta proficua. Mi ha permesso di guardare in modo più globale alla Chiesa e in modo più sintonico rispetto al Concilio. Spesso vivere il presbiterato sommersi da tante iniziative porta, inevitabilmente, ad accentrare tutto su di sé: il prete decide, sceglie ed è il punto di riferimento ultimo.

Nelle nostre parrocchie spesso si fatica a vedere la corresponsabilità...

È uno dei luoghi e degli spazi in cui si giocherà il ruolo e la fisionomia delle comunità cristiane nei prossimi anni. La comunità cristiana deve imparare a valorizzare i carismi, i ministeri, i servizi e tutte le vocazioni che le arricchiscono (nella differenza e nella peculiarità di ciascuno) oppure perderà la propria capacità di aderenza in un territorio e la capacità di generare la propria dimensione ecclesiale. Per vivere questo elemento di generatività nella sua pienezza è necessario l’apporto di tutti. Il come va cercato nel dialogo continuo e costante. Un’occasione particolare può essere data dal rinnovo, a maggio, degli organismi di comunione che sono strumento e spazio di una effettiva e sinodale corresponsabilità.

Come insegnante, alle Canossiane e all’Università Cattolica, ha la fortuna di avere un osservatorio privilegiato sul mondo giovanile...

Questa esperienza costringe me e chi è a stretto contatto con i giovani a lasciarsi interrogare dalle loro domande e dalle loro esigenze. Diventa una possibilità per continuare ad approfondire, a partire dai loro dubbi, la propria fede. È importante mantenere sempre un senso di autenticità, perché questi giovani non sono chiusi o refrattari all’incontro con il Signore e all’ascolto dell’annuncio del Vangelo. La credibilità umana e cristiana aiuta ad aprire spazi di dialogo e di confronto: credo che questi siano i luoghi e i momenti in cui tentare di condividere l’esperienza dell’incontro con Gesù.

Oggi corriamo il rischio di ritrovarci davanti a comunità sempre più chiuse. Che antidoto possiamo trovare?

Credo sia fondamentale adottare uno stile che condividiamo anche come associazione: lo stile dell’accompagnamento. Bisogna farsi vicino alle persone, perché Dio abita la vita delle persone. Non possiamo pensare che Dio sia dentro l’ambiente chiuso delle comunità o semplicemente abiti il luogo di culto o l’oratorio. Dobbiamo cercare di far comprendere che Dio è dentro una casa, dentro una storia, dentro una famiglia, anche dentro le situazioni complicate... Allora Dio diventa una scoperta per le persone che incontriamo ma anche per noi. Non dobbiamo avere la pretesa di controllare l’opera dello Spirito Santo.

21 ott 2019 11:58