Delitto "Da Frank". Le prime prese di distanza
Sarbjit Singh asserisce di aver urlato al complice Muhammad Adnan di "non sparare". Intanto spunta l'ipotesi del coinvolgimento di un terzo uomo
Mentre gli inquirenti cercano di trovare la quadra sulla provenienza dei circa 800mila euro trovati nel corso delle perquisizioni e riconducibili alle vittime, il pakistano Muhammad Adnan, l'uomo che ha esploso i quattro colpi fatali e che gestisce un locale a pochi passi dalla pizzeria “Da Frank”, continua a sostenere di aver agito per contrastare la concorrenza dei Seramondi.
Un movente che però non convince del tutto gli inquirenti. Intanto arrivano le prime prese di distanza. Il complice di Adnan, l'indiano Sarbjit Singh - che per aver fatto da spalla ha ricevuto 500 euro, a fronte dei 5000mila promessi- afferma di aver agito all'oscuro delle intenzioni omicide del pakistano, tanto da aver urlato di non sparare.
Se la provenienza del tesoretto trovato dagli inquirenti rappresenta uno dei principali nodi da sciogliere per far luce su quanto accaduto, un altro interrogativo sorge dal mancato ritrovamento della pistola utilizzata per il ferimento del dipendente di “Frank”, Corri Arban, avvenuto nel mese scorso. Da qui l'ipotesi del coinvolgimento di un terzo uomo nella vicenda che ha portato alla morte di Francesco Seramondi e Giovanna Ferrari.
REDAZIONE ONLINE
20 ago 2015 00:00