Conoscere e amare
Don Gian Maria Fattorini, il nuovo parroco di Chiari, si racconta
Classe 1953 e ordinato nel 1977, don Gian Maria Fattorini è originario della parrocchia di Urago d’Oglio. Nel corso del suo ministero ha svolto i seguenti servizi: curato a Trenzano (1977-1980); curato a Castegnato (1980-1992); curato a Calcinatello (1992-1995); parroco di Calcinatello (1995-2005); dal 2005 era parroco di Adro, dal 2009 anche di Torbiato.
Don Fattorini, cosa ha imparato in questi anni di ministero?
C’è una frase che mi ha colpito molto, detta dal padre carmelitano Gino Toppan quando si parlava di un mio possibile trasferimento: “Niente domandare, niente rifiutare”. È una citazione, una frase scritta da Papa Giovanni nel suo “Diario dell’anima”. Ma a sua volta anche lui citava quella di un altro Santo, San Francesco di Sales. Anche San Massimiliano Kolbe parla molto dell’obbedienza. Dice che dobbiamo fare la volontà di Dio nell’obbedienza ai suoi rappresentanti sulla terra. E afferma: “Chi obbedisce, non sbaglia”. È diventato un po’ il mio programma di vita. A Chiari sarò prevosto. La parola viene da “prepositus”, colui che sta davanti. C’è una bella preghiera del capo Scout che dice così: “Se tu vuoi essere capo pensa a quelli che ti saranno affidati. Se tu rallenti, essi si fermeranno. Se tu sei debole, cederanno. Se tu ti siedi, si sdraieranno. Se tu critichi, demoliranno. Ma… Se tu cammini davanti, essi ti sorpasseranno. Se tu darai la mano, essi doneranno la loro vita. E se tu preghi, allora, essi saranno santi”.
Quali sono le attenzioni pastorali sulle quali vuole insistere?
Leggevo in questi giorni i programmi enunciati dai miei confratelli: un nuovo cammino, i giovani nel mio cuore, il gioco di squadra, un viaggio nel Vangelo, camminiamo insieme, in ascolto. Mettendo tutto insieme ne esce un capolavoro di piano pastorale. Ma a volte il troppo stroppia. Diventa irrealizzabile. Allora mi viene in mente quello che scrisse Santa Teresa di Lisieux: “Ho capito che nella vita non si può fare tutto, bisogna scegliere, e ho capito che il corpo ha un cuore, che dà forza a tutte le membra. Nella Chiesa sarò l’Amore”. Dobbiamo essere di esempio credibile. Come dice la lettera agli Ebrei. “Ricordatevi dei vostri capi, … considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede”. E nel concreto, vale anche per comunità di Chiari, bisognerà valutare la realtà. Con il tempo comprendere quali sono le priorità pastorali clarensi.
Cosa è stato determinante nella sua scelta vocazionale?
L’esempio dei sacerdoti che ho avuto in parrocchia. Il parroco e il curato che avevo hanno lasciato un bel segno. Soprattutto nell’età dell’adolescenza e della preadolescenza quando ci si sgancia un poco dalla casa, sono stato coinvolto dal curato nelle attività oratoriane. E vivendo e vedendo la sua vita ne sono rimasto affascinato.
C’è un versetto del Vangelo che l’ha accompagnata in questi anni?
C’è un episodio, una immagine forte: quella del giovane ricco che va dal Signore e gli chiede cosa deve fare per ereditare la vita eterna. “Osserva i comandamenti”, e questo alla mia età era facile, ma poi la scelta radicale: “Vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri”. E non tutti sono buoni a farlo. Questo per me è stato molto importante, non perché fossi di una famiglia ricca, ma perché la ricchezza tante volte è la tua libertà. Sono i tuoi affetti familiari, sono i legami con il territorio in cui sei nato e cresciuto. Quando il Vescovo ti dice che devi lasciare i tuoi beni, le tue sicurezze e andare avanti, capisci cosa vuol dire lasciare. E ogni volta dispiace tantissimo. In ogni paese diventi parte di una comunità, condividi le gioie, le speranze e i dolori, e quando devi andare via è come se venisse amputato un pezzo di te. Devi prendere, amare, e lasciare in continuazione. Ma noi siamo preti per la Chiesa, e non preti per una Chiesa.
C’è un Santo al quale fa riferimento?
Sto scoprendo molto San Francesco di Sales. Di lui mi colpisce la dolcezza, l’amabilità. Non ha mai usato forza, durezza: solo amabilità.