Calì, imprenditore contro la mafia
Nel 2011 ha denunciato il pizzo e nel 2013, sempre grazie alle sue denunce, ha fatto emergere la collusione presente tra alcuni membri della Forestale e il clan di Cosa Nostra di Bagheria. Giovedì 12 marzo alle 20.30 su iniziativa della Rete Antimafia di Brescia Gianluca Maria Calì offre la sua testimonianza presso il Dipartimento di Giurisprudenza
Nei suoi interventi sottolinea che “non possiamo permetterci di essere condizionati da 5000 persone (contro i 5 milioni che abitano la Regione), cioè da quanti hanno precedenti o procedimenti in corso per mafia in Sicilia”. Calì ha una sola colpa: ha intaccato gli interessi dei mafiosi. “Per distruggere la mafia, come dicevano Falcone e Borsellino, bisogna attaccare il patrimonio. Mi sono imbattuto nell’acquisto della villa di un boss e nel fare un’azienda e un’impresa sana con diritti e doveri per gli operai, creando opportunità che nel territorio significa levare manovalanza ai mafiosi".
Oggi la sua azienda (due concessionarie, una a Milano e una ad Altavilla Milicia) ha perso 20 dipendenti su 24... “Al momento dell’attentato avevo 24 dipendenti e avevo in animo di assumere altri 13 dipendenti per un altro immobile. Dopo l’attentato, ho dovuto licenziare 20 persone e le quattro persone rimaste sono part-time. Dobbiamo darci una mossa, non possiamo continuare a subire altrimenti le aziende chiudono. Non voglio regali dallo Stato, ma avrei voluto che riconoscesse quello che mi era successo. La legge 44 del 1999 dice che entro 60 giorni deve esserci un acconto per il danno ricevuto ed entro 300 il saldo: a quattro anni di distanza non ho ancora avuto un centesimo dallo Stato, ma neppure la risposta se avevo diritto a un centesimo. Un anno fa c’è stata un’interrogazione parlamentare, ma nessuno si è degnato di dirmi se ho diritto o no a quel risarcimento”.
Gianluca sta cercando anche di recuperare una struttura (ha acquistato all’asta la villa di un boss) per riscoprire le bellezze del territorio coinvolgendo i giovani, ma la mafia di concerto con le istituzioni gli ha messo i bastoni fra le ruote. “La burocrazia mi sta rendendo la vita impossibile. La struttura sarà riconvertita in un parco vacanze per accogliere i turisti e per far comprendere che la Sicilia non è più la terra dei mafiosi. Il turismo dà la possibilità di lavorare a ogni singolo imprenditore”.
E noi che viviamo in un territorio ormai segnato dalla mafia, non possiamo chiudere gli occhi. “Qualche mese fa la retata tra Milano e Lecco ha visto più di 38 mafiosi arrestati, accertando più di 500 fatti malavitosi con il singolo cittadino costretto a subire ogni forma di prevaricazione o di estorsione. Il dato allarmante è che nessuno aveva sporto denuncia”.
Cosa significa vivere con la paura?
Vivere con la paura è sicuramente una cosa molto complessa oltre che dura. Non bisogna farsi dominare o condizionare dalla propria difficoltà. Bisogna cercare di impostare la propria quotidianità nel migliore dei modi così da non avere nessun tipo di disagio.
Cosa le ha insegnato questa vicenda?
Nessuno deve immolarsi da solo in battaglie complicate, ma sicuramente bisogna cercare di fare il proprio dovere quando si è chiamati a farlo.
La sua storia racconta anche di una responsabilità delle istituzioni...
Lo Stato deve adeguarsi all’efficienza dell’attività mafiosa. Dobbiamo essere superiori anche dal punto di vista burocratico. Bisogna trovare una soluzione concreta, immediata e veloce, non possiamo porre rimedio alle situazioni create dalle organizzazioni mafiose quando ormai le aziende sono fallite.
Come si può cercare di minare la forza della mafia? Quali sono i settori di maggiore profitto?
Creando occupazione e benessere con l’aiuto della cultura (andando nelle scuole) che permette di far capire che non si può più scendere a compromessi. Dobbiamo essere noi a prendere in mano il nostro destino, facendo in modo che siano loro ad avere paura di noi. Non dobbiamo dimenticare che quotidianamente le forze dell’Ordine e i magistrati fanno eccellenti operazioni. Chi ha intenzione di delinquere deve sapere che ha come unico destino il carcere duro, il 41 bis. Devono aver paura di noi che rappresentiamo lo Stato, che è più forte dei mafiosi. Lo Stato ha una grande organizzazione, ma molto dipende anche da noi cittadini: dobbiamo denunciare ogni singolo atto di prevaricazione.
L. ZANARDINI
12 mar 2015 00:00