Calcio, nuoto, danza? Le fatiche "extrascolastiche" dei genitori
Con l'avvio dell'anno scolastico mamme e papà tornano a mettersi in moto per scegliere tra moltissime proposte di attività quella più adatta al figlio. Una scelta che si presenta davvero impegnativa. Il parere della psicologa dello sport Francesca Fabbri
Cosa scegliere? Ad agitarli è la scelta dell’attività da far praticare ai figli: nuoto, calcio, pallavolo, basket? E poi ancora judo, tennis, rugby, ginnastica artistica, pallamano? E se fosse la danza? Sono interrogativi, dilemmi, che arrivano di pari passo con il ritorno in classe, visto che le attività sportive hanno lo stesso calendario della scuola. Anzi molte volte è la stessa istituzione scolastica (anche se oggi, per via di risorse sempre più limitate, in misura ridotta rispetto al passato e con il ricorso a progetti specifici che aprono a collaborazioni con il territorio) a farsi promotrice di iniziative extracurricolari (non solo sportive) per la promozione dello sviluppo psico-fisico degli studenti.
Le proposte della scuola. Con le iniziative di avviamento allo sport la scuola ha cercato di rispondere, sulla base di precisi criteri educativi, alle richieste dei genitori. Uno sforzo importante, reso ancora più gravoso con il moltiplicarsi in capo all’istituzione scolastica di impegni e incarichi. Ma tutto questo ai genitori non basta... E così il tempo delle prime settimane di scuola è solitamente dedicato alle peregrinazioni, una volta terminate le lezioni, di genitori (quasi sempre la mamma) e figli tra una palestra e l’altra, tra una scuola di danza e un’accademia musicale, passando magari per qualche associazione culturale che promuove corsi di animazione teatrale e l’immancabile campo da calcio. Le proposte non mancano, come “certificano” le esperienze di Chiari e del Villaggio Prealpino riportate in queste pagine.
Lo sport su tutto. Tradizionalmente ad avere la meglio in questa corsa (ancora non si sa se condotta sulla base delle propensioni dei figli o sui desiderata e le attese di mamme e papà) sono le attività sportive: calcio, nuoto, pallavolo, basket & co., sono sempre in cima alla lista delle preferenze. In forte crescita rispetto al passato sono però la ginnastica artistica e la danza. Buona e in crescita anche la frequenza di accademie musicali e corsi di teatro.
Capacità di relazione. “La pratica di un’attivà, sportiva o meno che sia – afferma Francesca Fabbri, psicologa dello sport –, è fondamentale per lo sviluppo psicofisico di un bambino. Gli consente, infatti, di sperimentarsi in contesti nuovi, con coetanei che sono altri rispetto ai compagni di classe. Nello sport e in altre attività il ragazzo ha così modo di intessere nuove relazioni sociali”. Le parole della psicologa, suonano come “unguento” per le sofferenze di tanti genitori che si sottopongono a veri e propri tour de force per accompagnare i figli in palestra, in piscina... Più ancora del beneficio fisico, è parere di Francesca Fabbri, l’attività extrascolastica, sportiva o culturale che sia, è determinante nella crescita del ragazzo perché gli consente di sviluppare capacità di interrelazione con pari età e con adulti diversi rispetto ai genitori e agli insegnanti.
Cercare di capire. Proprio i benefici che una sana attività, soprattutto se sportiva, può garantire in termini relazionali a un ragazzo dovrebbero indurre i genitori, secondo la psicologa dello sport, a prestare la dovuta attenzione al momento della scelta. Il calcio o il nuoto, piuttosto che la danza o la ginnastica artistica non devono essere scelti sulla base della comodità (la piscina o il campetto vicino a casa o i corsi in determinati orari). “Quando un genitore si interroga su quale sport o attività far praticare al figlio – continua Francesca Fabbri – dovrebbe tenere conto dello opportunità di sperimentazione e di esperienze che la disciplina individuata permette. Per questo, quando il figlio è piccolo e piccolissimo, sarebbero da privilegiare le proposte delle polisportive, dove al bambino è consentito misurarsi in un clima di gioco con diverse attività sportive”. E quando arriva l’immancabile momento del rigetto e il bambino non ne vuole più sapere di palestra, piscina e campo da calcio? “In quel caso – afferma Francesca Fabbri – non bisogna fare drammi. C’è soltanto da capire quali possano essere le cause di questa perdita di entusiasmo e verificare se il clima della società o dell’associazione a cui il figlio è stato affidato sia sereno e adeguato alla sua crescita".
M.VENTURELLI
10 set 2015 00:00