Brescia: anche i medici soffrono il mal della burocrazia
Disagio medico, l’Ordine indaga con un sondaggio: meno burocrazia, regole nuove, più flessibilità e collaborazione col paziente le quattro vie per uscire dall’impasse secondo i medici bresciani
Questo il quadro che emerge da una ricerca che l’Ordine dei Medici ha realizzato tra i suoi iscritti con un sondaggio on line e con un Forum di confronto con una rappresentanza di professionisti del territorio.
Gli esiti del sondaggio e i punti di vista emersi nel Forum sono documentati nell’ultimo numero di Brescia Medica, dedicato al disagio della categoria. Il periodico dell’Ordine dei Medici di Brescia verrà distribuito in questi giorni ai quasi 7 mila iscritti sul territorio provinciale, e per tutti gli interessati è scaricabile liberamente on line dal sito www.ordinemedici.brescia.it.
Al sondaggio, promosso lo scorso giugno dall’Ordine dei Medici di Brescia, riservato agli iscritti e realizzato on line tramite la piattaforma ordinistica, hanno risposto 742 medici (pari all’11% degli iscritti), distribuiti equamente fra maschi e femmine, attivi sia in città che nei paesi della provincia. La maggioranza dei partecipanti al sondaggio è medico di famiglia o medico di un ospedale pubblico, ma è significativa anche la rappresentanza dei liberi professionisti (18%), più contenuta quella degli ospedalieri di strutture private (9%). La fascia di età più rappresentata è quella fra i 51 e 64 anni (50%), seguita da quella fra i 36 e 50 anni (28%) e da una percentuale non trascurabile di giovani medici (il 14% dei partecipanti al sondaggio ha meno di 35 anni).
La stragrande maggioranza dei medici bresciani (91%) conferma un crescente disagio relativo al proprio ruolo e al modo di vivere la professione. Eccessiva burocrazia e scarsa tutela giuridica sono le due principali fonti di malessere sotto il profilo organizzativo (insieme compongono il 47%), seguite da turni e orari di lavoro sempre più impegnativi (12%), difficoltà di interlocuzione con le direzioni sanitarie/aziendali/distrettuali (12%) e poca chiarezza nelle regole del sistema (11%).
Nell’ambito clinico, invece, il disagio ha il volto della medicina difensiva e del deterioramento del rapporto medico-paziente (aspetti che insieme compongono il 51% del totale), seguiti dalla complessità dei bisogni di pazienti sempre più anziani e polipatologici (14%), dalla difficoltà di relazione con colleghi di altri servizi (12%) e dalla fatica di applicare nella pratica quotidiana linee guida e raccomandazioni (12%).
Nel complesso il 60% dei camici bianchi dichiara di sentirsi molto più a disagio ora rispetto all’inizio della propria attività professionale, mentre un 16% va controcorrente e ritiene di sentirsi meno a disagio rispetto agli inizi.
Nella seconda parte del questionario sono state proposte una serie di possibili azioni per limitare il disagio. Per i medici bresciani sono quattro le priorità su cui è necessario concentrarsi: ridurre la burocrazia nell’attività medica, migliorare la tutela giuridica della professione con regole nuove, ridurre la rigidità del sistema (con possibilità di cambiamento lavorativo e miglioramento di carriera basato sul merito), migliorare la collaborazione con i pazienti chiarendo rispettivi diritti e doveri. Quattro azioni che raccolgono ciascuna circa il 70% di pieni consensi.
Fra le altre azioni da implementare i partecipanti al sondaggio segnalano l’impegno per migliorare la percezione del ruolo del medico nella società (62% “completamente d’accordo”) e l’introduzione di sistemi che premiano la qualità (57% di pieni consensi).
I medici si dicono convinti che l’Ordine possa avere un ruolo nel ridurre il disagio attuale della categoria. Per il 60% dei partecipanti al sondaggio, l’Ordine dovrebbe aiutare a diffondere una visione più positiva del medico nella società, mentre per il 26% dovrebbe favorire il confronto e la collaborazione fra i medici, e per il 9% dovrebbe avere un ruolo più incisivo sul piano disciplinare.
"Nell’immaginario comune il medico per sua natura deve “stare bene” per poter curare gli altri, in realtà è dimostrato in letteratura che dove ci sono medici, ci sono elementi di disagio e di stress –osserva il direttore di Brescia Medica, Gianpaolo Balestrieri – Non si tratta di un problema esclusivamente italiano, ma della professione in generale, che può ripercuotersi anche sulle cure prestate".
Dal sondaggio emergono significative differenze in base all’età dei medici: i più giovani sono anche i più entusiasti della professione intrapresa, tanto che fra gli under 35 solo uno su tre (32%) è “completamente d’accordo” con l’affermazione del crescente disagio sofferto dal medico, mentre la percentuale di consensi si alza fra coloro che hanno fra 36 e 64 anni (49%).
Anche le problematiche avvertite sono diverse a seconda dell’età. Mentre l’eccessiva burocrazia rimane la principale fonte di disagio per tutte le classi di età, la scarsa tutela giuridica è maggiormente sentita dai più giovani (19% di chi ha meno di 35 anni contro il 14% di chi ha fra 51 e 64 anni), così come il disagio derivante dalla difficoltà di relazione con i colleghi, che è ritenuto importante dal 17% degli under 35, mentre scende all’11% fra chi ha fra 36 e 50 anni
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I giovani medici avvertono meno il deterioramento del rapporto medico paziente, che è invece fonte di disagio soprattutto fra i soggetti adulti (26% fra 36 e 51 contro il 18% in chi ha meno di 35 anni).
Indicative anche le differenze di genere: per le donne medico i turni e gli orari di lavoro sempre più impegnativi rappresentano un rilevante motivo di disagio in ambito organizzativo (problema sentito dal 33% delle donne contro il 22% degli uomini), mentre in ambito clinico e con le medesime percentuali le dottoresse avvertono più degli uomini la difficoltà di relazione con i colleghi che lavorano in altri servizi (medicina di famiglia versus ospedale e viceversa, ad esempio).
Fra le donne, che devono gestire oltre al lavoro anche i carichi familiari, è più marcata la difficoltà di conciliare tempi di vita e di lavoro, tanto che quasi una su tre (29%) ritiene determinante la riduzione degli orari di lavoro, inserendo rigidi sistemi di controllo (mentre solo il 19% degli uomini è completamente concorde su questo punto).
Le dottoresse dimostrano anche una maggiore apertura verso le altre professioni sanitarie: il 36% delle donne condivide appieno la necessità di migliorare il rapporto con le professioni sanitarie non mediche e con gli infermieri, contro il 28,5% degli uomini.
Oltre al sondaggio, l’Ordine dei Medici ha organizzato un Forum dedicato al disagio della professione, svoltosi nelle scorse settimane nella sede di via Lamarmora con la partecipazione di un gruppo ristretto di 8 medici, rappresentativi dell’ospedalità pubblica e privata e della medicina di base.
Anche dal Forum affiorano i molteplici volti del disagio medico, con alcuni elementi ulteriori rispetto a quanto delineato nel sondaggio: particolarmente avvertita è l’assenza di una valutazione della qualità in sanità, per cui la prestazione del medico viene misurata su parametri quantitativi e non qualitativi. Ma anche lo squilibrio fra la domanda dell’utenza, in continua crescita, e le risorse del sistema, sempre più ridotte; la difficoltà del sistema ad individuare le vere priorità strategiche in sanità; la frustrazione dovuta agli ostacoli nel fare carriera e raggiungere le posizioni di vertice.
Il malessere della professione, secondo i partecipanti al Forum, si combatte con flessibilità e una mente aperta al cambiamento, rivendicando il proprio ruolo di professionisti intellettuali, unendosi verso obiettivi condivisi per poter incidere di più nelle scelte organizzative, ritrovando la via del dialogo fra le diverse figure sanitarie.
"Ciò che emerge dal sondaggio proposto agli iscritti è che il disagio medico esiste, innegabilmente. Ma affiora anche un altro dato da tenere presente: noi tutti continuiamo a volere bene al nostro lavoro, ma ci troviamo ad operare in un sistema che non ci corrisponde più – sottolinea il presidente dell’Ordine dei Medici, Ottavio Di Stefano – Da questo impasse si potrà uscire solo con una profonda riorganizzazione del sistema: la parola chiave è, ancora una volta, l’integrazione fra ospedale e territorio, che deve tradursi nella rivoluzione delle cure primarie e nella profonda rivisitazione dell’assetto organizzativo degli ospedali".
M.VENTURELLI
30 lug 2015 00:00