Toc Tok: al passo degli adolescenti
Disorientamento e fragilità fanno rima con adolescenza. E la ricerca di sicurezza (affettiva, ma non solo) è la sua naturale conseguenza. Ecco perchè Comunità Fraternità vuole essere un porto sicuro per i giovani che sono alle prese con un percorso di crescita e di riconoscimento di sè difficoltoso. Già prima dell’emergenza sanitaria, Comunità Fraternità aveva attivato due servizi sperimentali: “Spazio Off”, luogo accogliente per ragazzi con problemi legati al gioco d’azzardo o all’uso eccessivo dei social media, e il laboratorio ergoterapico di “Tecnica 38”. Ma la pandemia (e il conseguente peggioramento di una situazione adolescenziale piuttosto preoccupante) ha evidenziato la necessità di rispondere in modo innovativo ai bisogni dei ragazzi. Comunità Fraternità, allora, ha risposto con “Toc Tok”, il centro educativo diurno per adolescenti dai 16 ai 21 anni. Facciamo il punto, allora, con Nadia Pedretti, arteterapeuta e educatrice professionale del centro.
Nadia, punto di partenza di “Toc Tok” è l’emergenza sanitaria?
La pandemia ha acuito problematiche che già c’erano. Comunità Fraternità, che da sempre è collegata al tessuto sociale, ha percepito il peggioramento della situazione tramite i servizi segnalanti, come i servizi sociali, ma anche le famiglie stesse che si sono rivolte a noi. Principale problematica è stata l’impossibilità da parte dei giovani, in questi due anni, di svolgere un compito evolutivo: uscire e sperimentarsi nella socialità. Gli adolescenti hanno compiti evolutivi molto delicati: da una parte, vivono la necessità di essere ascoltati e quindi di tornare nel nido, dall’altra di sperimentarsi fuori, esigenza che è stata castrata o ridotta ai minimi termini. Ecco perché abbiamo pensato di rispondere diversamente rispetto ai servizi o alle opportunità che già erano presenti sul territorio: l’idea di “Toc Tok” è creare moduli e attività non standard, per rispondere ai bisogni degli adolescenti con un format flessibile.
Come si articola il percorso?
È previsto un accompagnamento iniziale: sei incontri, dalla durata massima di due ore, in cui il ragazzo può provare alcune attività, mentre gli educatori si dedicano all’osservazione. Dopo il periodo di prova, viene strutturato insieme il Pei (programma educativo individuale, ndr), nel quale si condividono modalità e obiettivi misurabili da raggiungere, con tempi e azioni specifiche. Contemporaneamente, nei nostri spazi, è previsto un massimo di 10 ragazzi. Tuttavia, la flessibilità dei programmi, ci consente di vedere più di una decina di adolescenti quotidianamente.
Certo, la proposta è personalizzata. Ma avete riscontrato affinità nei bisogni degli adolescenti?
Ogni caso fa da sé, ma si possono rintracciare delle affinità tra i giovani. Ecco perché, idealmente, proponiamo un mix tra esperienze interne nella nostra sede di Travagliato, come arteterapia, teatro, videogametherapy, musicoterapia, scrittura creativa e laboratori ergoterapici, unite ad attività esterne, legate alla conoscenza del territorio, come la montagna terapia o l’arrampicata. L’idea è proprio quella di sperimentare esperienze significative. Inoltre, riteniamo importante anche la co-produzione delle attività, per tirare fuori i talenti: i ragazzi sperimentano il significato della progettazione dell’attività, capendo cosa può essere vittorioso e valoriale per loro.
Le risorse ci sono. Ma cosa si può ancora migliorare?
Valori che abbiamo fatto nostri come l’ascolto, il rispetto delle diversità e la possibilità di parlare di emozioni sono un bel punto positivo da cui partire. Pensando agli obiettivi futuri, secondo me, si potrebbe puntare a un maggiore contatto con il mondo della scuola. Quando entro negli istituti scolastici proponendo diverse progettualità, spesso, emergono situazioni di fragilità che rimangono a galla, senza che nessuno lanci il salvagente. Mi piacerebbe molto avere dei link più efficaci con la scuola. Li stiamo costruendo e mi auguro che possano essere sempre più efficaci.