La bellezza della semplicità
La solidarietà tocca il cielo con le due ruote, non prima di aver compiuto qualche piroetta per emozionare e divertire: i piloti professionisti e semiprofessionisti del team DaBoot, specializzati nel freestyle motocross, infatti, fanno sfrecciare per l’Italia la mototerapia, un’iniziativa solidale nata nel 2009 da Vanny Oddera. Un progetto lodevole che è diventato realtà consolidata anche in provincia di Brescia, precisamente a Urago d’Oglio, grazie soprattutto alla collaborazione tra il sindaco Gianluigi Brugali e Jannik Anzola, affermato pilota professionista di freestyle motocross da ormai sette anni. Lo abbiamo intervistato, per farci raccontare meglio la sua avventura a braccetto con la solidarietà, perché in fondo la moto è proprio per tutti.
Jannik, cos’è la mototerapia?
È regalare un po’ del nostro tempo, della nostra passione e del nostro lavoro agli altri, che siano persone malate, con disabilità o semplicemente che stanno vivendo un brutto periodo. Nel corso del tempo, il progetto è cresciuto esponenzialmente: oltre ad aver ottenuto alcuni patrocini regionali (come quelli del Piemonte, Lombardia, Liguria e Veneto), la mototerapia è stata definita da un’importante rivista londinese come terapia complementare.
Punto di riferimento nel bresciano è il paese di Urago d’Oglio…
Sì, con il Comune di Urago d’Oglio collaboro strettamente: mi hanno lasciato un’area sportiva dove posso allenarmi e dove posso diventare un punto di riferimento per le famiglie e le associazioni che vogliono venire a trovarmi. Ad Urago, organizziamo giornate di mototerapia nazionale: siamo già alla terza edizione.
Come si svolgono queste giornate?
Dopo aver assistito alla nostra esibizione da posti privilegiati, le persone hanno la possibilità di salire in sella con noi, sulle moto che hanno appena visto piroettare per aria. Le giornate di mototerapia nazionale diventano un luna park completamente gratuito per i ragazzi e le loro famiglie. Ad Urago, ad esempio, oltre a noi, c’erano i go-kart di Niko Tremolada per la sua go-kart terapia, la Gym Game di Chiari, la game therapy Vi.re.dis Project di Antonio Consorti, l’elicottero di Alberto Guerrini e la Elitop, ma anche associazioni come la Coldiretti, la Croce Bianca, Insieme per Fily Onlus, Radio Bruno…
Insomma, regalate un’esperienza eccezionale. Cosa ti colpisce di più quando sei in sella con loro?
La felicità che si scorge negli occhi di chi vi partecipa, quando per noi la moto è normale routine. È la bellezza della semplicità: percepire i loro sorrisi e le loro emozioni per un’attività che per noi è così semplice, mi fa capire quanto non sia banale e scontato tutto quello che circonda queste giornate.
Immagino però ci siano diverse difficoltà da affrontare…
Beh, sì. All’inizio, la principale difficoltà è stata ricevere la fiducia dei genitori e delle associazioni. Ora che l’iniziativa è ben conosciuta, è necessario mantenere il progetto sano, insieme a persone di vero cuore. C’è da tener conto che il team DaBoot è l’unico ad avere un’assicurazione: anche se non ci sono mai stati incidenti, è una questione di serietà. Una delle critiche che ci vengono fatte è il mancato uso del casco. La nostra scelta è motivata: non tutti lo possono indossare e noi non vogliamo creare differenze tra gli utenti. Non solo: sulla moto interagiamo, cerchiamo di capire i loro sentimenti e le loro paure. Diventa un momento personale. Ovviamente, poi, a guidare le moto sono solo piloti professionisti e le nostre esibizioni si svolgono in aree chiuse, spesso con l’appoggio delle forze dell’ordine.
Anche la pandemia vi sarà stata d’intralcio…
In realtà, siamo riusciti ad ottenere un protocollo igienico-sanitario, per cui tramite i vari controlli necessari, siamo riusciti ad incontrarli personalmente, entrando nelle loro case con le nostre moto.
Quali altri attività proponete?
DaBoot è stato il primo a portare una moto nelle corsie degli ospedali, con il progetto “Freestyle Hospital”: soprattutto nei reparti pediatrici oncologici, sfrecciamo con le nostre moto elettriche, riuscendo addirittura a fare piccoli salti con le rampe. Insomma, rubiamo un’ora di allegria in corsia. Non solo: stiamo cercando anche di espandere l’iniziativa nelle scuole. Ovviamente però questi due progetti sono fermi per il Covid. L’obiettivo, comunque, è crescere sempre più.
Jannik, tu che sulla moto ci vivi… secondo te, nel vasto mondo delle due ruote c’è davvero spazio per la solidarietà o è ancora circoscritta alle realtà locali?
Fortunatamente, si sta iniziando a crescere. La solidarietà può essere diffusa a tutte le tipologie di moto: le moto da strada, da trial, ecc. Ovviamente, è un’iniziativa che va calcolata: non ci si può inventare piloti, come nemmeno si può improvvisare la mototerapia. Ci vuole una certa dimestichezza e sensibilità.