Da diritto a politiche pubbliche?
Fare sport è un diritto costituzionale. Finalmente, il suo valore (educativo, sociale e di benessere psicofisico) è riconosciuto dalla madre di tutte le leggi: con 312 voti su 312, il 20 settembre, “l’attività sportiva” è stata inserita nella Costituzione italiana. Un passo straordinario per il nostro Paese che attribuisce, finalmente, la giusta dignità allo sport. Ne abbiamo parlato con la mente di questa “idea” rivoluzionaria Mauro Berruto, già commissario tecnico della nazionale di pallavolo maschile italiana e, oggi, deputato del Partito Democratico.
On. Berruto, ci racconti anzitutto il lungo iter legislativo...
Faccio ancora fatica a raccontarlo in modo distaccato e penso che non ci riuscirò mai. Nel mio immaginario, era da sempre stato incomprensibile che la Carta Costituzionale non riconoscesse il valore dello sport. In realtà, razionalmente, il motivo lo conoscevo: la necessità, al momento della stesura della Costituzione, di generare una discontinuità con il modello distorto fascista. E anche nel corso della mia carriera sportiva, non smettevo di pensare che quello che stavo facendo meritasse quel riconoscimento formale. L’idea si è messa a fuoco durante la pandemia, quando il movimento sportivo, che per 75 anni di storia repubblicana si è fondato su denaro privato e sull’azione di famiglie e volontari, è andato in profonda crisi. Ringrazierò sempre l’Associazione “Cultura Italiae” con cui, condivisa questa proposta, ho scritto, con la collaborazione di una squadra di addetti ai lavori, un manifesto che ha raccolto 15mila firme. Nell’autunno 2020, ci siamo confrontati con alcuni rappresentanti del Coni e varie forze politiche della scorsa legislatura. Tutti subito sono stati d’accordo a procedere. In maniera molto rapida, abbiamo scelto la collocazione: la prima ipotesi era legata all’articolo 9, che però era proprio stato da poco cambiato; qualcuno pensava al 32, altri al 34, alla fine si è deciso per il 33, che tratta di arte e di scienza. E lo sport è proprio arte, perché è capace di generare spettacolo e ispirazione, e scienza perché lo si fa con metodo e programmazione. Si è arrivati abbastanza velocemente anche al testo. L’ultimo passaggio non è scontato: la discussione era focalizzata sull’uso della parola inglese ‘sport’ e su ‘attività sportiva in tutte le sue forme’ che comprende dall’attività più amatoriale a quella agonistica. Nelle prime letture (due al Senato e una alla Camera) il testo è stato votato da un’ampia maggioranza. La quarta e ultima alla Camera, però, è stata “posticipata” a causa della caduta del governo. Il primo giorno della nuova legislatura, il 13 ottobre, ho depositato come primo firmatario questa proposta di legge. Lo stesso hanno fatto in tanti alla Camera e al Senato a testimonianza che tutti convergevano su quello stesso testo. Con l’ultima lettura del 20 settembre scorso che ha raccolto l’unanimità si è ottenuta la possibilità di modificare la Costituzione senza dover fare un referendum. L’iter si è definitivamente chiuso con la firma del presidente Sergio Mattarella.
Che effetti ha questa modifica?
Principalmente due. Il primo è restituire formalmente dignità a tutti coloro che questo lavoro lo hanno fatto nei 75 anni precedenti. Tuttavia, all’ingresso simbolico nella madre di tutte le leggi, deve seguire un lavoro di politiche pubbliche che trasformino la teoria in azione. C’è in atto un cambio di paradigma: queste politiche dovranno creare un ecosistema che permetta alle persone e alle associazioni che prima avevano alimentato il mondo dello sport di continuare a farlo nel modo migliore possibile. Ma si apre anche un altro versante: non ci sono più scuse sull’interazione necessaria fra il diritto allo sport (art. 33), quello della cura della salute (art. 32) e quello della scuola (art. 34). Cambia la considerazione dello sport: da puro hobby o una voce di spesa, a investimento sui valori educativi, sociali e del benessere psicofisico.
L’Italia è pronta ad agire? Quali obiettivi devono essere raggiunti in termini di politiche pubbliche?
Per quanto il valore educativo, l’obiettivo è ottenere l’educazione motoria con l’insegnante specializzato a partire dall’infanzia, perché è in quel momento che si innesca nei bambini e nelle bambine la scintilla della cultura del movimento. Ne aggiungo un secondo: in questi giorni leggo della necessità di un piano strategico e di un commissario per gli stadi. Io, sommessamente, credo che bisognerebbe averli per l’impiantistica sportiva scolastica. Non avere una palestra in ogni scuola non è un esempio di simmetria con la dignità delle altre discipline: non si può insegnare chimica senza laboratorio, così come non si può fare educazione fisica senza strutture adeguate. Per quanto concerne il valore sociale, invece, il dato attesta che ci sono 800mila ragazzi di seconda generazione under 18, senza cittadinanza italiana, per i quali è ancora molto difficile accedere alla pratica sportiva e impossibile vestire la maglia azzurra fino al raggiungimento della maggiore età. Se è vero che lo sport è lo strumento inclusivo per eccellenza, allora è una leva che dobbiamo utilizzare a beneficio della costruzione di un modello di società più efficace. Infine, sulla promozione del benessere psicofisico, c’è una mia proposta di legge depositata da tempo in tal senso che riguarda l’attività fisica adattata prescrivibile dal medico di base. Quindi considerare l’attività sportiva come strumento di prevenzione, ma soprattutto di terapia. Quella ricetta rossa innescherebbe un vantaggio anche economico per gli utenti e spingerebbe il mercato a offrire soluzioni di eccellenza. Si innescherebbe un mercato del lavoro: si pensi a tutte le strutture sportive che potrebbero diventare hub della salute e aprirsi a tutte le età. Il meraviglioso effetto conclusivo di questo circolo virtuoso sarebbe il risparmio dello stato.