Atleta 4.0: cosa c'è e cosa manca
“Vorremmo arrivare a parlare non più di ‘sport per disabili e normodotati’, ma semplicemente di ‘sport’ indipendentemente da chi lo pratichi. Questa è la forma più completa e assoluta di accettazione”. Questo è il fil rouge del convegno che ha preso vita nel weekend dello scorso 18 e 19 marzo a Desenzano del Garda, proprio dal titolo “Sport e disabilità 4.0”.
Un due giorni di successo “sia in termini di partecipanti – ci fa sapere Cristiana Monteverdi, Ceo di Poliortopedia Srl, organizzatrice, con il sostegno della Federazione di tennis in carrozzina, di questo evento dal sapore di inclusione –, che di soddisfazione per la capacità di creare delle relazioni e di scambi culturali di livello”.
Due giorni, in effetti, carichi di contenuti. Non si è parlato solo di disabilità (nonostante la convinzione che lo sport sia un tramite motivazionale e formativo fondamentale per il soggetto al fine di riattivare le sue potenzialità e risorse inespresse): al centro del dibattito, la definizione a 360 gradi dell’atleta 4.0. “Nel tratteggiare le caratteristiche dello sportivo del futuro – ha raccontato Cristiano Depalmas, mental coach nazionale Fitp Wheelchair e ricercatore dell’Università degli Studi di Sassari – è emersa un’attenzione verso l’alimentazione, verso la parte cognitiva e psicologica, verso la componente motoria e quindi verso la parte anatomico-fisiologica e la gestione degli infortuni. Insomma, un’attenzione a 360° che non fa distinzione tra normodotati e disabili, ma che considera solo il fatto di fare sport”. Elementi da tempo considerati fondamentali, ma relegati solo ai professionisti. Invece, “ci siamo resi conto, infatti, che questi aspetti valgono per ogni fascia d’età, ogni categoria e ogni professione”.
Ma non è tutto. “All’atleta di oggi – sono le parole della Ceo di Poliortopedia – manca del tutto una relazione familiare con l’ambiente sportivo. Nello sportivo del futuro, cioè, lo sport potrebbe e dovrebbe diventare una motivazione di aggregazione familiare, attraverso il coinvolgimento degli affetti più prossimi, quindi delle proprie relazioni di base che gli strutturano l’autostima. Oggi, in effetti, questo elemento è molto esaltato nel contesto della disabilità. Gli ultimi studi, tuttavia, hanno rilevato come questa caratteristica sia invece trasversale e valga per tutti”.
Tra nutrizione, micro Rna e buon umore, salute cardiometabolica, apprendimento, patologie e riabilitazione, le due giornate al Palace Hotel di Desenzano sono state condite con alcune testimonianze di esperienze significative. Come quella della bresciana Active Sport, l’associazione senza scopo di lucro fondata da Marco Colombo, Maurizio Antonini e Ivano Boriva, vera stella nel panorama italiano e internazionale per il tennis in carrozzina e l’handbike. “Da questa società – continua ancora Cristiana Monteverdi – escono ogni anno dei campioni. Tuttavia, non è tanto la qualità, ma la quantità di atleti che partecipa a questi progetti a contare. A evidenziare, cioè, come l’esperienza dello sport sia uno strumento potentissimo di aggregazione sociale”. Tanti gli esempi portati in scena, da Perugia alla Lega navale di Desenzano e molto altro ancora. “Queste esperienze ci insegnano molto – afferma ancora Cristiano Depalmas –. Quella di Perugia, per esempio, ci fa capire quanto sia fondamentale la gestione del tempo: per la crescita di una progettualità non bisogna avere fretta, come invece la nostra società ci spingerebbe a fare. Queste testimonianze ci hanno anche dimostrato non solo che è possibile coniugare normodotati e disabili nel medesimo sport, ma che è necessario far diventare lo sport un’esperienza di comunità. L’attività sportiva non deve essere un’esperienza edonistica o meramente competitiva: queste esperienze attestano la presenza dell’aspetto sociale, di volontariato, di voglia di vivere delle esperienze comuni tutti insieme”.
L’augurio più bello è che tutte queste parole non si disperdano nel flusso, caotico e frenetico, della quotidianità, ma che diventino esperienze concrete, prove reali di aggregazione sociale e inclusione a tutti i livelli. “Le varie associazioni – conclude Cristiana Monteverdi – ci hanno invitati a visitare i loro centri e a creare progettazioni future. Questo convegno è stato un ulteriore passaggio conoscitivo per una maggiore confidenza nel creare progetti futuri. Purtroppo, spesso mancano tempo, energie e spazi. Ma il nostro obiettivo è chiaro: creare progetti basati su una motivazione sociale”.