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di SAVIO GIRELLI 09 apr 2015 00:00

Tempi di crisi

La crisi che l’uomo si trova a vivere nella sua esistenza non è correlato soltanto alla situazione economica

“Crisi, crisi, crisi”. Non passa giorno senza che questa inquietante parola riecheggi in ogni discorso. Ma la crisi che l’uomo si trova a vivere nella sua esistenza non è correlato soltanto alla situazione economica. La malattia quando è grave e mette a dura prova l’esistenza, introduce un fattore di crisi che, nonostante la “medicalizzazione”, diffusasi dal XIX secolo nel mondo cosiddetto “avanzato”, non riesce ad essere compresa. Succede allora che la malattia come la morte finisce per essere rimossa da una cultura che assolutizza la “qualità della vita”, rendendo tutto uno spettacolo per un programma televisivo. La verità è che oggi sappiamo curare la malattia, ma non sappiamo consolare l’afflitto.

Invece la Chiesa, sull’esempio di Gesù che “percorreva tutta la Galilea curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4,23), si è tradizionalmente occupata dell’infermo. Non solo attraverso la creazione e il sostegno di Ordini e Congregazioni dediti alla cura del malato, ma comprendendo la sofferenza, alla luce dell’Evento Paquale, così da sviluppare delle significative azioni rituali nei confronti dei malati gravi, con il sacramento dell’Unzione degli infermi, e dei morenti, con la Penitenza e Viatico. Se già agli albori della Chiesa, Giacomo raccomandava: “Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati” (Gc 5,14-15), oggi più che mai, la liturgia, in questo tipo di società secolarizzata, si assume il compito, anzitutto, di rendere visibile la presenza di Dio nel mondo.

In un mondo dove Dio è assente, la liturgia manifesta la presenza di Gesù perché una comunità di credenti, quando si riunisce, confessando il suo nome e invocandolo, lo rende presente nella storia. Certamente non mancano dei nodi pastorali da sciogliere: quando la celebrazione è comunitaria, si accostano al sacramento dell’Unzione anche fedeli le cui condizioni di salute non sono gravi, tanto da far pensare che il sacramento è percepito come una semplice pratica benedizionale. Ecco allora la necessaria catechesi liturgica, affinché il cristiano non “usi” il sacramento per il raffreddore. E neppure per una sorta di ricerca di strumenti magici di guarigione. Ma possa educare l’uomo che afferma: “Nel mezzo della vita sono colto dalla morte”, a celebrare “nel mezzo della morte sono colto dalla Vita”.
SAVIO GIRELLI 09 apr 2015 00:00