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09 apr 2015 00:00

Ripensare il ruolo delle religioni

La gioia della Pasqua appena trascorsa è stata invasa dal dolore. Mai, forse, come quest’anno, ci siamo sentiti una sola comunità e abbiamo sofferto per tutte quelle giovani vite cristiane spazzate via dall’odio islamista. Il martirio non è il passato remoto dei cristiani. È il drammatico presente. L'editoriale del numero 14 di "Voce" è di don Adriano Bianchi

Incredulità, rabbia, orrore, smarrimento, preghiera, silenzio, compassione. Tanti sentimenti. Contrastanti. Confusi. L’Islam fondamentalista colpisce ancora. Implacabile. La violenza non è solo in Iraq, in Siria, in Pakistan o in Nigeria, si è abbattuta, nella Settimana Santa, anche sugli studenti cristiani del Kenya, seminando morte. Non ha patria il terrore, non ha capo né nazione. L’idea che il male sia ovunque, in Medio Oriente, in Africa, in Asia come in Europa e in America è inquietante. Questa violenza senza volto, senza capri espiatori, senza responsabili identificati, disorienta tutti, soprattutto chi deve rispondere della cosa pubblica. L’idea che la morte possa colpire ovunque, lontano e vicino, pesa e condiziona la vita quotidiana di milioni di persone. Quando si trattava di partire per abbattere un regime totalitario (che fosse quello di Saddam, Gheddafi o dei talebani) sembrava semplice vincere ed “esportare la democrazia”. Niente di più falso. La storia ha preso un altro corso e il risultato è sotto i nostri occhi. Anche Al-Qaida l’ha capito e propone di unire le sue forze a quelle dell’Isis. A Pasqua il Papa ha condannato la violenza. Il Papa ha pregato per la pace. Il Papa si è appellato ai responsabili delle nazioni perché “il silenzio complice” si trasformi in una risposta efficace. Ma quale? Quella della diplomazia? Quella dell’intelligence? Quella delle armi? E per colpire chi? Dove?

L’efficacia della reazione non è solo un fatto politico, è culturale, religioso, diplomatico e mediatico. Che potranno fare le nazioni occidentali per evitare, a breve, che dieci cristiani al giorno perdano la vita? Non saprei. Staremo a vedere. A medio e lungo termine, però, credo che questi fatti pongano all’Occidente evoluto alcuni interrogativi sul ruolo, lo spazio e l’attenzione che hanno dato negli ultimi decenni alle religioni. Il primo interrogativo tocca il costante tentativo implicito ed esplicito di ridurre all’irrilevanza la religione nella società, nella politica e nella vita delle persone. Un laicismo imperante che niente ha a che fare con la giusta idea di laicità degli Stati e che mira a ridurre lo spazio pubblico di ogni religione trasformandola in fatto privato e opinione personale ha come esiti miopi letture della storia e si nutre dell’illusione che la religione possa essere in ogni caso un aspetto marginale della vita e della natura umana. Anzi, presume che l’emancipazione dalla fede in un qualsiasi Dio migliori la qualità umana. Ne siamo certi? Da questa linea dipende, in fondo, anche la quasi esclusione del tema della religione nell’impostazione dei rapporti diplomatici tra le nazioni. Forse il dialogo interreligioso e certi fatti della storia, anche recenti (vedi Cuba), potrebbero far riconsiderare questo aspetto nella generale gestione della diplomazia internazionale.

Il secondo interrogativo riguarda la scarsa considerazione del diritto alla libertà religiosa. Cosa hanno fatto le nazioni fino a oggi per far sì che si affermi una reale libertà religiosa in tutti gli Stati? Siamo certi che niente abbia a che fare questo fatto con la pace? Infine, come si gioca il ruolo dei media? Questa guerra mondiale a pezzi, come dice il Papa, si combatte anche, e molto, attraverso la comunicazione. Quante volte i media decidono di non raccontare i gesti di dialogo, riconciliazione, pace, che le religioni promuovono nel mondo. Alimentare, anche sui media, la violenza non paga. Speriamo non sia troppo tardi.
09 apr 2015 00:00