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di GABRIELE FILIPPINI 09 giu 2017 15:03

Preti fatti su misura?

“Vi raccomando fateli stretti... non fateli larghi... fateli che sappiano stare tra la gente... no, fateli che si facciano trovare in chiesa...”. Sono solo alcune richieste, ovviamente ridotte all’essenziale simbolico, che arrivano al Seminario che ha il difficile compito di preparare nuovi preti ogni anno. Manco fossero ravioli, pizze, abiti...

“Vi raccomando fateli stretti... non fateli larghi... fateli che sappiano stare tra la gente... no, fateli che si facciano trovare in chiesa...”. Sono solo alcune richieste, ovviamente ridotte all’essenziale simbolico, che arrivano al Seminario che ha il difficile compito di preparare nuovi preti ogni anno. Manco fossero ravioli, pizze, abiti... Ci si accorge che tutti li vogliono a misura dei loro gusti. E i gusti sono individuali, relativi. Anche nel desiderio che i preti nuovi corrispondano in pieno alle proprie visioni e attese si può ormai intravedere la deriva di una religione fai da te, di un self service pastorale, di un cristianesimo tagliato sulla propria misura, se non, come diceva papa Benedetto XVI, la “dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.

A questo rischio si può rispondere prima di tutto non dimenticando che un uomo non diventa prete perché lo vuole lui, ma perché risponde ad una chiamata. Dietro il volto di ogni prete c’è sempre un grande “mistero”: un Dio che chiama l’uomo. Bisogna a volte tacere e contemplare per capire. I quattro preti di quest’anno non sono frutti di uno stampino standardizzato, e nemmeno quattro storie omologate e piegate al sogno di essere qualcuno. Sono quattro percorsi diversi, dove la chiamata è venuta in età diverse, per percorsi diversi a dimostrazione che la grazia di Dio e i suoi disegni non si lasciano imprigionare da nessuno, nemmeno dagli operatori pastorali. Uno era geologo e pensava di studiare la composizione del terreno, l’altro studente di economia e pensava di aprire uno studio di commercialista, un altro ha frequentato l’istituto alberghiero e pensava di aiutare la famiglia nella gestione del loro ristorante, un quarto era un ragazzo d’oratorio che forse sognava di fare il calciatore... E invece il Signore li ha condotti ad essere preti. Dietro ogni prete bisogna prima di tutto vedere quel Cristo che attraverso loro ci dona la grazia che ci salva. Un prete prima di essere un mattatore che piace, un incantatore di piazza come tanti lo desiderano, è la persona che mi dona l’unica cosa necessaria per avere la vita eterna: la grazia di Dio.

Da parte sua il prete deve certamente avere quel bagaglio di virtù umane e cristiane che lo rendono credibile. Ma oggi deve avere soprattutto una capacità che nessuno mai chiede che abbiano: obbedire. Se un prete non obbedisce al vangelo, alla Chiesa e al suo Vescovo vanifica e rende nullo il grande mistero di cui è portatore. Il 20 giugno papa Francesco renderà onore a due grandi preti del Novecento che hanno costituito un riferimento per tanti altri: il lombardo don Primo Mazzolari e il toscano don Lorenzo Milani. Preti pastori? Sicuramente. Preti “sociali”? Anche. Preti profetici? Pure.

Ma prima di tutto sono stati entrambi preti “obbedienti”. Sempre.

GABRIELE FILIPPINI 09 giu 2017 15:03