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23 feb 2015 00:00

Jobs Act al vaglio della Dottrina sociale

È del tutto evidente che sulle scelte che riguardano il lavoro e le sue forme, si è giocata una grande partita politica, più all’interno della sinistra italiana che sull’altro fronte.

La riforma del lavoro che in Italia va sotto il nome inglese di “Jobs Act” (chissà poi perché) è davvero un cambio di paradigma. È del tutto evidente che sulle scelte che riguardano il lavoro e le sue forme, si è giocata una grande partita politica, più all’interno della sinistra italiana che sull’altro fronte. Ma non è su questo aspetto della politica politicante che ci vogliamo soffermare. Piuttosto, vogliamo introdurre una questione di metodo che riguarda lo sguardo dei cattolici sulle riforme che il Paese sta realizzando.

Lungi da noi la tentazione di dare pagelle a questo o quel ministro o governo, a questa o a quella maggioranza e/o minoranza, piuttosto ci sta a cuore individuare un metodo con il quale “leggere”, “interpretare” e “verificare” le riforme così come si vanno dipanando attraverso il lavorio parlamentare e la mediazione politica. Ci sembra questa la scelta più giusta per non essere arruolati da nessuna parte politica, per conservare la nostra autonomia intellettuale e magari la nostra libertà di giudizio. E già doverlo sottolineare vuol dire che avvertiamo nell’aria tanto conformismo come tanta pretestuosa avversione preconcetta. Conformismo e avversione, figli entrambi di un riflesso politico sociale che il Paese non riesce a scrollarsi di dosso.

Allora cogliamo l’occasione dell’approvazione dei decreti attuativi del Jobs Act per chiarire come valuteremo le riforme: le sottoporremo, facendoci ovviamente aiutare da chi nel mondo cattolico è certamente più esperto di noi, al vaglio della Dottrina sociale della Chiesa. Un buon criterio che evidenzierà luci e ombre, senza pregiudizio alcuno.

E per non sbagliare, ricordiamo a tutti, e a noi per primi, il concetto di Bene comune che è principio cardine della Dottrina sociale della Chiesa: “Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro”.

23 feb 2015 00:00