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di BARBARA BAZZANA 01 dic 2016 10:31

Dilaga il gioco d’azzardo patologico

La diffusione del gioco d’azzardo è sotto gli occhi di tutti. Incontriamo giocatori di slot machine facendo colazione al bar, incrociamo lo sguardo di persone intente a “grattare” alla cassa del supermercato, siamo incuriositi da quel giovane che gioca a poker col telefono e ad ogni angolo sembra spuntare una nuova sala giochi

La diffusione del gioco d’azzardo è sotto gli occhi di tutti. Incontriamo giocatori di slot machine facendo colazione al bar, incrociamo lo sguardo di persone intente a “grattare” alla cassa del supermercato, siamo incuriositi da quel giovane che gioca a poker col telefono e ad ogni angolo sembra spuntare una nuova sala giochi. Non è solo un’impressione, i dati ce lo confermano: la spesa annua degli italiani nel gioco d’azzardo è passata da 24,8 miliardi di euro nel 2014 a 88,2 miliardi nel 2015 con un trend di crescita costante. Ma come si è arrivati a questo punto? Quali cambiamenti socio/politici hanno trasformato un’attività che un tempo interessava pochi in un comune passatempo? I dati epidemiologici ci dicono, infatti, che a giocare sono sia giovani che anziani, uomini e donne, ricchi e poveri. Una prima risposta la troviamo nell’aumento dell’offerta commerciale: gli ultimi anni hanno visto ampliarsi la proposta di gioco con una diversificazione delle tipologie e una moltiplicazione degli spazi in cui è possibile giocare, una sollecitazione sensoriale sempre più estesa che si avvale anche dei media, dal gioco online agli spot televisivi il messaggio che si vuole comunicare è uno solo, forte e allettante: vincere è facile e grosse somme sono alla portata di tutti. Altro aspetto importante è che viviamo in un periodo di recessione economica ed è comune che in questi frangenti si assista ad un aumento del gioco d’azzardo. Molti slogan sottolineano come con pochi euro sia possibile dare finalmente una svolta alla propria vita: la maggioranza degli italiani gioca per vincere denaro e quindi chi ha meno è maggiormente esposto a questo tipo di sollecitazione. Infine, quella disgregazione del tessuto sociale per cui il senso di appartenenza alla comunità viene sempre meno condanna molte persone alla solitudine e trasforma il gioco d’azzardo in un “compagno”, i momenti di eccitazione che offre divengono irrinunciabili.

È intuitivo che più aumenta il numero dei giocatori più aumenta il numero di coloro che sviluppano una dipendenza patologica da esso (solo nel 2015 gli Smi Il Mago di Oz hanno trattato in provincia di Brescia 177 persone affette da questa problematica). Esistono alcuni parametri scientifici per discriminare fra giocatori abituali e patologici come frequenza, numero di ore passate a giocare, somme investite ma sostanzialmente è la venuta meno del limite a dirci che siamo di fronte ad una patologia. Dopo una iniziale fase di gioco “controllato”, infatti, in un secondo momento si instaura il meccanismo di “rincorrere le perdite”, in cui si tenta di recuperare il denaro perso sperando in una grande vincita. Le conseguenze sono drammatiche sia da un punto di vista economico che affettivo: chi è dipendente dimentica la coppia e gli obblighi di genitorialità. L’unica relazione possibile è quella con il gioco. Spesso i famigliari sono gli ultimi a sapere della gravità della situazione, chi gioca mente sistematicamente e inventa scuse per giustificare la diminuzione delle entrate. Esattamente gli stessi meccanismi che noi operatori dei Servizi siamo abituati a vedere nelle dipendenze da droga o alcol. Quella che si è messa in moto sembra essere, quindi, una macchina complessa e altrettanto complessa deve essere la strategia messa in campo per arginare il problema: diminuendo l’accessibilità al gioco stesso in primis, sensibilizzando la popolazione rispetto ai sui rischi ma anche recuperando quella solidarietà sociale per cui di fronte ad una persona che mostra questo disagio ci si assuma la responsabilità di fare qualcosa. Per esempio informando i famigliari e incoraggiandola a rivolgersi ai servizi deputati al trattamento di questa patologia (SMI e SerT).barbara

BARBARA BAZZANA 01 dic 2016 10:31