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Manerbio
di REDAZIONE 08 mar 2017 10:10

Un concerto per La Buona Novella

Il Brixia Camera Chorus presenta venerdì 10 marzo alle 20.30 al Politeama un concerto dedicato a “La Buona Novella” di Fabrizio De Andrè, straordinaria opera del cantautore e poeta genovese: uno dei più grandi lasciti artistici, etici e umani della discografia di Fabrizio De André

Il Brixia Camera Chorus presenta un concerto dedicato a “La Buona Novella” di Fabrizio De Andrè, straordinaria opera del cantautore e poeta genovese: uno dei più grandi lasciti artistici, etici e umani della discografia di Fabrizio De André. La qualità dell’esecuzione di questo concertospettacolo è garantita dalla sinergia di esecutori e interpreti di alto livello:

• “Bandafaber” - una formazione di ottimi musicisti bresciani che in questi anni si è distinta per l'originalità e professionalità con cui ha interpretato le canzoni di grandi cantautori italiani quali Enzo Jannaci, Giorgio Gaber, Lucio Dalla, Lucio Battisti, Francesco Guccini e lo stesso Fabrizio De Andrè - che ripropone i brani con arrangiamenti che fondono le atmosfere calde e popolari della banda con quelle più aggressive e trascinati del gruppo rock;

• “Brixia Camera Chorus”: un coro composto da sessanta elementi - fondato nel 2008 dal M° Francesco Andreoli - che ha maturato una notevole esperienza nei numerosi concerti sia di musica sacra che quella lirica;

• Orchestra d'archi “S. Cecilia” di Gambara - legata alla locale scuola d'archi - è formata dagli allievi dei corsi superiori e dai loro insegnanti. Composta da 20 elementi, dalla data della sua fondazione (1996) ha tenuto oltre 150 concerti in numerose località del nord Italia.

• Luciano Bertoli - l'attore regista bresciano che introdurrà lo spettatore all’ascolto, tramite lettura e la recitazione di brani tratti dai “Vangeli Apocrifi”;

• Francesco Andreoli il maestro direttore che, con il maestro preparatore del coro Pierpaolo Vigolini, ha arrangiato per questa imponente formazione vocale-strumentale, una tra le pagine più significative del grande cantautore genovese.

Scritta insieme a Roberto Dané, “La Buona Novella” non solo conserva intatto il suo valore poetico e musicale, ma risulta ancora oggi di grande attualità. Il lavoro di lettura e di scrittura dei testi, svolto con Roberto Dané, durò più di un anno. Seguendo le caratteristiche dei Vangeli Apocrifi, in questo album la narrazione della buona novella sottolinea l’aspetto più umano e meno spirituale assunto da alcune tradizionali figure bibliche (ad esempio, Giuseppe) e presta maggiore attenzione a figure minori della Bibbia, che qui diventano protagonisti (ad esempio, Tito e Dimaco, i ladroni crocefissi insieme a Gesù). Fabrizio De André riteneva “La Buona Novella” «uno dei suoi lavori più riusciti, se non il migliore». Il 14 febbraio 1998, in un concerto al teatro Brancaccio, il cantautore spiegava: “Quando scrissi “La Buona Novella” era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente – che sono poi sempre la maggioranza di noi – compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: “Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia – che peraltro già conosciamo – della predicazione di Gesù Cristo.” Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un’allegoria – era una allegoria – che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali.

Si chiamava Gesù di Nazaret e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Non ho voluto inoltrarmi in percorsi, in sentieri, per me difficilmente percorribili, come la metafisica o addirittura la teologia, prima di tutto perché non ci capisco niente; in secondo luogo perché ho sempre pensato che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarselo. Il che è esattamente quello che ha fatto l’uomo da quando ha messo i piedi sulla terra. Ho quindi preso spunto dagli evangelisti cosiddetti apocrifi. Apocrifo vuol dire falso, in effetti era gente vissuta: era viva, in carne ed ossa. Solo che la Chiesa mal sopportava, fino a qualche secolo fa, che fossero altre persone non di confessione cristiana ad occuparsi, appunto, di Gesù. Si tratta di scrittori, di storici, arabi, armeni, bizantini, greci, che nell’accostarsi all’argomento, nel parlare della figura di Gesà di Nazaret, lo hanno fatto direi addirittura con deferenza, con grande rispetto. Tant’è vero che ancora oggi proprio il mondo dell’Islam continua a considerare, subito dopo Maometto, e prima ancora di Abramo, Gesù di Nazaret il più grande profeta mai esistito.”

L'interessante riproposta della “Buona Novella” - che il Brixia Camera Chorus presenta - prevede una esecuzione in forma di concerto-spettacolo della durata di poco più di un’ora. I brani sono presentati secondo la successione originale del disco con gli arrangiamenti ideati ed elaborati dal maestro Francesco Andreoli che cura anche la direzione musicale.

Attraverso i Vangeli apocrifi, scelti come traccia da seguire per elaborare la trama del disco, emerge la vocazione umana e terrena, quindi provocatoria e rivoluzionaria della figura storica di Gesù di Nazareth, già descritta da De Andrè nel 1967 in “Si chiamava Gesù”. In questo album la figura di Cristo è narrata attraverso quella dei personaggi che hanno a che fare con lui e la sua storia, mentre appare direttamente come protagonista solo nella canzone “Via della Croce”. La narrazione, introdotta da un “Laudate Dominum”, inizia raccontando “L’infanzia di Maria”: la piccola Maria vive un’infanzia difficile segregata nel tempio (“dicono fosse un angelo a raccontarti le ore, a misurarti il tempo fra cibo e Signore”); l’impurità delle prime mestruazioni (“ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso”) provocò il suo allontanamento e la scelta forzata di uno sposo; il matrimonio avviene con un uomo buono ma vecchio, il falegname Giuseppe (“la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa”) che la sposa per dovere e la deve poi lasciare per quattro anni per lavoro. Ne "Il ritorno di Giuseppe” si può cogliere la fatica della vita di Giuseppe; nel suo ritorno a casa porta una bambola per Maria, e la trova implorante affetto e attenzione. “Il sogno di Maria” riporta la scena nel tempio. In un sogno l’angelo che usava farle visita la porta in volo lontano “là dove il giorno si perde”; lì le dà la notizia della futura nascita di un bimbo; il testo allude ad un concepimento più terreno di quello raccontato dai vangeli canonici.

Al risveglio Maria capisce di essere incinta (“parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno ma impresse nel ventre”) e si scioglie in pianto. La maternità inaspettata (“ave alle donne come te Maria, femmine un giorno e poi madri per sempre”), si esprime in “Ave Maria”, un omaggio alla donna nel momento del concepimento. Dalla letizia che traspare in “Ave Maria” il passaggio a “Maria nella bottega d’un falegname” è drastico: il ritmo dato dalla pialla e dal martello scandiscono il dolore straziante del falegname che costruisce la croce (“tre croci, due per chi disertò per rubare, la più grande per chi guerra insegnò a disertare”) con la quale il figlio di Maria ed i due ladroni verranno crocifissi. “Via della croce” è una delle canzoni in cui De André lascia trasparire i suoi pensieri e i suoi sentimenti anarchici: “il potere vestito d’umana sembianza ormai ti considera morto abbastanza”. Infine, sotto la croce stessa: “non fossi stato figlio di Dio t’avrei ancora per figlio mio” dice la madre al figlio. Questo aspetto è completamente trascurato dai Vangeli canonici.

Non appena i tre condannati vengono crocifissi, le loro rispettive “Tre Madri” stanno adagiate sotto le croci per confortarli. Le due donne dicono a Maria che non ha alcuna ragione di piangere così “forte”, dal momento che sa che suo figlio, al contrario dei loro, “alla vita, nel terzo giorno, […] farà ritorno”. La canzone si conclude con le parole di Maria che spiegano il motivo della sua tristezza: “non fossi stato figlio di Dio, t’avrei ancora per figlio mio”. Ne “Il testamento di Tito” vengono invece elencati i dieci comandamenti, analizzati dall’inedito punto di vista di Tito, il ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù; i nomi dei ladroni variano da vangelo a vangelo (Dimaco/Gesta Tito/Disma): Tito è il ladrone buono nel vangelo arabo dell’infanzia (l’altro è chiamato Dimaco). Per quanto riguarda la musica, la prima strofa incomincia semplicemente con la voce ed un leggero accompagnamento con la chitarra, crescendo sempre più in strumenti e accompagnamenti fino all’ultima strofa. L’opera termina con una sorta di canto liturgico (“Laudate hominem”) che incita a lodare l’uomo, e non in quanto figlio di Dio, ma in quanto figlio di un altro uomo, quindi fratello.

REDAZIONE 08 mar 2017 10:10