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di GIANFRANCO CADENELLI 06 lug 2017 10:44

Gesù è dietro le sbarre

La testimonianza di don Gianfranco Cadenelli, missionario fidei donum in Albania, che porta il Vangelo nel carcere di massima sicurezza di Burrel

Cari amici della missione, oggi voglio comunicarvi i miei sentimenti a riguardo di una esperienza che da qualche tempo sto facendo: l’incontro con i carcerati di Burrel! Non riesco a tenermi dentro le emozioni che sto provando. Non so chi avrà il coraggio o la pazienza di leggermi fino in fondo … ma io ci provo.

Ogni mercoledì, dalle 9 a mezzogiorno, io e Genti (il mio fedele collaboratore) andiamo in carcere! Tre ore alla settimana … poi ci lasciano liberi. Ma queste tre ore cambiano la nostra vita. Immaginate, quindi, cosa può cambiare nella vita di chi sta “dentro” per 15, 20 o 30 anni e più!  Sì, e vero … là dentro si può cambiare in meglio o in peggio: ma il carcere, comunque, ti cambia! Prima di tutto, voglio dirvi che la mia emozione, entrando nel carcere più “malfamato” dell’Albania, viene dal fatto che lì dentro sono stati imprigionati e torturati alcuni martiri della chiesa albanese, beatificati lo scorso novembre. Uno (Karl Serreqi) è morto proprio lì, a causa di stenti e di torture.
E poi, la consolazione che provo in questa mattinata che dedico alla visita dei carcerati, mi viene dalle parole del Vangelo: “Venite benedetti dal Padre mio … perché ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,36). 
Perciò, in quel momento, incontrando quelle persone, stringendo loro la mano, abbracciandoli, parlando e pregando con loro … mi sento davvero davanti a Gesù! L’emozione è unica. E poi, quando sono “dentro” per poche ore … mi ripeto spesso la frase che Papa Francesco disse ai detenuti di Regina Coeli: “Perché voi siete qui e non io?”. Ricordando che anch’io faccio molti sbagli, molti peccati … che per grazia di Dio non sono “condannabili” dalla legge, ma che mi fanno sentire, a volte, anche peggio di quei detenuti. Perché io, a differenza di loro, ho avuto, e ho tuttora, tutte le condizioni favorevoli per essere “bravo” … e, nonostante questo, sbaglio ugualmente. Mi pento, ma ormai è fatta!
Va bene, ora passo alla descrizione delle tre ore in cui incontro Gesù che si trova “dietro le sbarre”.
Io e Genti entriamo puntualmente alle 9, dopo aver preso un caffè al bar di fronte al carcere per “ripassare” l’attività che abbiamo preparato per i carcerati.
La giovane poliziotta che sta al cancello ci accoglie con un sorriso. Ormai ci conosce. Gli siamo simpatici. Anche lei, per me, è una ragazza simpatica.
Tutti i gli “impiegati” del carcere ci accolgono bene. Con tutti riusciamo a farci accettare con il sorriso, anche se portiamo a loro un po’ di lavoro in più. Sono dei lavoratori in una situazione difficile. Sono anche poco pagati e corrono dei rischi … e, a volte, devono essere “duri”. Ma con noi sono accoglienti. Anche loro capiscono che la nostra presenza, lì dentro, fa del bene a tutti.
Dopo aver sbrigato le pratiche di ingresso … andiamo nella “saletta” della perquisizione. Leka, il poliziotto incaricato, fa sempre alcune battute per alleggerire la situazione e, abbastanza formalmente, “ci mette le mani in tasca”. Non esiste uno scanner per i controlli … tutto manuale!
Poi, dopo che anche i nostri “fogli” preparati per l’incontro sono stati osservati ad uno ad uno … entriamo nel “braccio B”, dove ci sono i detenuti condannati definitivamente per crimini gravi (in maggioranza, per omicidio).
Attraversiamo il cortile “dell’aria” circondato da quattro muraglie (20 mt x30 e cinque metri in altezza). In genere, ci sono una ventina di detenuti che stanno passeggiando … Ci salutano cordialmente. Alcuni si avvicinano per stringerci la mano. Genti mi indica i “boss” là nell’angolo … che salutano con un cenno. I “boss” hanno una loro dignita’ … non si avvicinano. Il cortile, così come le celle dove sono rinchiusi i detenuti, è una ghiacciaia d’inverno e un forno d’estate. Non c’è un filo d’erba. Ieri ho fatto una battuta ad un carcerato che era a torso nudo tutto abbronzato : “Ehhh … sei stato al mare questa settimana!”. E lui, di risposta, fa una grande risata che allarga il cuore e che gli fa passare qualche minuto di serenità. 
Grazie Gesù della tua risata! Con poco, sono riuscito a farti contento!
Dopo aver passato altre due cancellate (con sbarre del diametro di 3 cm, che danno un senso di “chiusura” impressionante, (soprattutto quando i catenacci sbattono rumorosamente alla nostre spalle), entriamo nella “sala degli incontri e delle attività socio-educative”. 
Un ambiente disadorno, non curato, che forse possono immaginare solo quelli che sono venuti almeno una volta alla missione, e che hanno visto le povertà strutturali dell’Albania. 
Tempo fa, don Roberto, l’iniziatore di questa attività, aveva arredato la stanza con qualche tavolo e sgabello di plastica … alcuni sono finiti nelle celle, ma lì ce ne sono ancora a sufficienza. In uno scaffale abbiamo messo alcune Bibbie e altri libri e opuscoli … soprattutto di genere “spirituale”, ma anche altro. Ognuno può prendere quel che desidera da leggere in cella.
Ieri, Gjon, il mio “santo protettore” , che è anche mio coetaneo, era entusiasta per aver letto il libro che descrive la vita e i miracoli di S. Antonio (almeno 5 volte! mi ha detto). Lui è dentro da una quindicina d’anni perché un giorno gli è andato il sangue alla testa per gravi problemi famigliari … Ma ha una fede grande che lo sostiene.
Una delle emozioni più forti che sto provando in questo periodo della mia vita è proprio quando incontro Gjon. Lui, all’incontro, viene sempre “sbarbato” e vestito bene, elegante al massimo. Mi ha insegnato che quando si va ad incontrare il Signore, ci si deve vestire “al meglio”. 
E, così, da quando lui me lo ha detto, anch’io mi vesto sempre bene quando vado in carcere: come se andassi dal Papa! Ogni mercoledì, con occhi brillanti di soddisfazione, mi dice sempre: “Ho pregato per te questa settimana … un rosario al giorno!”. E quando me lo dice sottovoce, io mi commuovo sempre. 
Gesù che prega per me … è straordinario! Lo abbraccio senza riuscire a dire nulla.
Poi c’è Florjan … Gesù Bambino. Lui è cresciuto senza famiglia. A 5 anni era in strada. E doveva vivere “della strada”. Mai andato a scuola. Non sapeva ne leggere ne scrivere fino a quando in carcere, un “collega” si è fatto suo insegnante. Ora ha 37 anni. Da 18 è in carcere perché in una rapina gli è scappato il colpo, e, di anni, ne ha ancora 5 da fare. 
La settimana scorsa, durante l’incontro, gli ho detto: “Ormai sei in discesa … ne hai solo 5!”. E lui, davanti a tutti, ha risposto: “Non mi preoccupano questi cinque anni. Prima di tutto … perché ci siete voi che venite qui ogni settimana e mi date forza” (e qui si è fermato qualche secondo per sottolineare la verità di quel che diceva). E, continuando, ha aggiunto: “Poi perché mi sto preparando: quando uscirò, voglio costruirmi una vera famiglia, diversa da quella che ho avuto io”. 
E’ Gesù bambino che vuol ricostruirsi la vita. Eccezionale!
Li dentro c’è anche Emanuel, un ragazzo di 25 anni che è cresciuto “in chiesa” … proprio come i ragazzi della missione di Suç e di Baz che voi conoscete. A lui, qualche anno fa, è “capitato” di colpire un bambino che passava di lì, durante uno scambio di pistolettate tra adolescenti incoscenti. Oramai è successo, e gli anni che ha da passare “dentro” sono tanti. Non si da pace, ma è successo … ed è giusto, secondo la legge, che paghi. Ma a me sembra che anche lui sia un po’ come Gesù … difronte alla strage dei bambini innocenti. Forse anche Lui, Gesù, l’Emmanuele, si è sentito male quando ha scoperto che tanti bambini erano stati uccisi … “a causa sua”! Senza volerlo, si capisce.
Gjergj, un giovane papà di 30 anni, è finito dietro le sbarre … per un “sciocchezza”, diremmo noi. Ha fatto saltare in aria la sua macchina per poter dimostrare di essere perseguitato, sperando, così, essere accolto in Europa come rifugiato-perseguitato, insieme alla sua famiglia. Per dare il pane ai suoi bambini … voleva arrivare ad essere come Gesù “esiliato in Egitto”. Invece lo hanno accusato di terrorismo e gli hanno dato parecchi anni. Adesso, in carcere, lui costruisce croci, di ogni genere e di ogni misura, con stuzzicadenti, colla, sabbia del cortile … e altri materiali “di fortuna”. Le croci le fa bene, sono belle … Abbiamo fatto con lui un accordo per acquistarle e distribuirle nelle case dei villaggi quando noi missionari andiamo per le benedizioni. Così lui potrà aiutare un po’ la moglie e i due bambini che sono rimasti fuori, per qualche anno senza papà.

Un Gesù “assaltato dai briganti mentre scendeva da Gerusalemme a Gerico” è l’amico che noi chiamiamo “il professore”. Perché è un bravo insegnante di 40 anni, intelligente e preparato, che, fino a pochi mesi fa, faceva con passione il suo lavoro. Di insegnanti così ce ne sono pochi, non solo in Albania. Lui è “dentro” perché una sera tardi, di rientro dopo una festa con la squadra di calcio dei suoi alunni, che avevano vinto un torneo, si è trovato davanti dei “briganti” (povericristi anche loro) che volevano svaligiare la sua casa. Ha menato un bastone per aria e ne ha colpito uno alla testa. Il colpo è stato fatale e, così, lui è sotto accusa per eccesso di legittima difesa. Forse anche l’uomo del vangelo … prima di prenderne tante, si sarà difeso, non so. Ma, come quell’uomo, anche il professore è rimasto ferito e sanguinante sulla strada. E’ finito in gabbia, senza rendersi conto, come un topo inseguito da gatti inferociti .
Dopo un periodo di disorientamento e di incredulità … ora si sta riprendendo e si sta facendo una ragione di quel che è successo e delle conseguenze che ha avuto. Forse anche noi, incontrandolo ogni settimana, gli stiamo dando una mano … abbiamo la pretesa di essere un po’ come il “Buon Samaritano” che sta fasciando le sue piaghe. Anche lui ci sta aiutando molto negli incontri del mercoledì.
E’ bello sentirsi un po’ come degli “infermieri” che curano le piaghe di Gesù.

E così via … La tentazione sarebbe quella di continuare e di descriverveli tutti questi “gesù”. Ma capisco che finirei per annoiarvi.
Solo di un altro “angioletto” voglio parlarvi: di Juljan, un ragazzo che ne ha passate di tutte, che è cresciuto “da solo” a Roma, dopo che i genitori lo avevano abbandonato al suo destino, e che è poi entrato anche nel “tunnel” dell’eroina per qualche anno. Estradato dall’Italia a Burrel … perché ha venduto droga, quella “signora” che ha preso possesso della sua povera vita. 
Ora si presenta entusiasta quando viene all’incontro con noi (nell’altro braccio del carcere, in quello dei detenuti in attesa di giudizio definitivo). E’ felice di poter annunciare, ogni volta, che è riuscito a diminuire ancora di qualche grammo la dose di metadone. Ha 20 anni, parla molto, ha bisogno di comunicare con estrema apertura e sincerità. In qualche modo è uno che sorprende, che sa trasmettere la voglia di “vincere” la vita, al di là delle difficoltà che si incontrano e delle mazzate che si prendono. 
E’ un Gesù che non si arrende mai! Gesù, davanti al male, è proprio così, come lui.
Va bene, mi fermo qui.
Ecco, avete capito perché il carcere mi sta cambiando: perché incontro quel Gesù che vuol ricominciare sempre. E’ quel Gesù che mi aiuta a rimettermi sempre in piedi dopo essere caduto, sempre in cammino sulla giusta strada, dopo aver sbagliato direzione. Proprio come sta facendo Lui, là dentro. 
Di questa cosa sono sicuro, non ho dubbi. Perché la dimostrazione ce l’ho lì, davanti agli occhi, ogni mercoledì, quando entro nel carcere “di massima sicurezza” di Burrel.
Quando, poi, “la dentro”, nella stanza del degrado, celebriamo la S. Messa (come abbiamo fatto ieri), la presenza di Gesù è “lampante”. L’intensità di quel momento fa invidia alle più belle celebrazioni che si svolgono in S. Pietro a Roma e a tutti i più bravi cerimonieri di questo mondo. 
Grazie Gesù, della tua presenza dietro le sbarre! Non c’è luogo più maestoso e solenne di questo dove poterti incontrare.

GIANFRANCO CADENELLI 06 lug 2017 10:44