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Brescia
di MASSIMO VENTURELLI E SERGIO ARRIGOTTI 22 set 2016 09:42

Scuola: cosa facciamo per pranzo?

MIni-inchiesta nel mondo bresciano sul pasto consumato a scuola: solo quello del servizio di ristorazione o, dopo la sentenza della Corte d'appello di Torino, anche quello portato da casa

La scuola, che sta piano piano riprendendosi dalle fatiche dell’avvio dell’anno scolastico e dalla “grana” della copertura di tutte le cattedre, non ha avuto, almeno a Brescia, il tempo di interrogarsi su quelli che potranno essere gli sviluppi della sentenza della Corte d’Appello di Torino che, di fatto, ha ammesso che uno studente possa portarsi il pranzo da casa e consumarlo nel tempo mensa. In città e in provincia non si sono registrati casi o richieste che si rifanno alla decisione torinese. In tutte le scuole il servizio mensa ha preso il via e tutti gli iscritti, almeno per ora, stanno consumando il pranzo che passa la scuola.

Nonostante tutto, però, quello della scelta tra il pranzo portato da casa e quello offerto dalla mensa è un tema presente anche nel Bresciano. Sarebbero sempre di più le famiglie (il dato arriva da tanti dirigenti che lo scorso anno scolastico hanno avuto il loro bel daffare nel concedere deroghe e permessi a chi chiedeva di non avvalersi più del servizio di ristorazione) in difficoltà ad affrontare la spesa della mensa. E in una scuola, come quella del tempo pieno, che attribuisce anche al pranzo una valenza educativa gli scenari che si potrebbero aprire con la sentenza della Corte d’appello di Torino sono tutt’altro che secondari. Per questo motivo “La Voce del Popolo” (edizione cartacea in distribuzione in questi giorni) ha voluto sentire il parere di alcuni potenziali attori di questa partita. A partire dalle autorità sanitarie (i vertici dell’Ats Scarcella e Speziani) che, pur ribadendo l’importanza del servizio di ristorazione scolastica per una corretta educazione alimentare dei bambini e dei ragazzi, hanno sottolineato che sotto il versante normativo “non esiste un divieto assoluto al cibo portato da casa”. Servono, invece, servizi, strutture e strumentazioni (frigoriferi per la conservazione del cibo e forni per riscaldarlo, locali ad hoc) che hanno costi importanti che finirebbero per gravare sulle scuole e, di conseguenza, sulle famiglie, anche su quelle che chiedono che i propri figli possano godere di quanto previsto dalla sentenza di Torino. “Occorre evitare – hanno ricordato Scarcella e Speziani – è che la questione sia affrontata solo sul piano ideologico”.  

Sulla questione è stato sentito anche il parere di Roberta Morelli, assessore alla pubblica istruzione del Comune di Brescia. Anche se la gestione del servizio non rientra tra le competenze della sua delega assessorile (fa capo invece all’assessorato di Felice Scalvini), la diatriba pranzo da casa o pranzo offerto da servizio è di quelle che la appassionano. “Il mio incarico – afferma – mi porta a occuparmi di scuola non solo rispetto alla strutture ma anche con un occhio di riguardo ai tanti progetti educativi che in queste si svolgono”. E, in questa prospettiva, è chiaro che il tema del pranzo rientra a pieno titolo tra gli interessi dell’assessore. “Personalmente − continua l’assessore Morelli − trovo corretta la sentenza della Corte di Appello di Torino perché, in una stagione come quella attuale segnata ancora da tante difficoltà, permettere a un bambino di portarsi il pranzo da casa potrebbe essere un valido aiuto alle famiglie”. Per questo Roberta Morelli non crede che nella sentenza del tribunale torinese possa esserci qualche deriva discriminatoria. “Anche a Brescia abbiamo qualche segnale – afferma – che ci dice che il costo della mensa, per altro molto contenuto in un Comune come il nostro che mette in atto tutte le azioni possibili per essere vicino alla famiglia, per qualcuno è ancora un problema”.

 L’assessore Morelli  è convinta infatti che in città ci siano parecchi genitori che non iscrivono i figli alla scuola dell’infanzia, rinunciando alle opportunità che questa fornisce nell’ottica della frequenza della scuola dell’obbligo, per evitare di sostenere il costo della mensa. “Per fare fronte alle richieste di tante famiglie – continua Roberta Morelli – con il nuovo anno scolastico in una scuola primaria della città è stata creata una classe che non segue il tempo pieno e che, conseguentemente, non prevede il servizio mensa”. Il problema, dunque, c’è anche se per ora non è tra quelli a tema della giunta.

 Altri pareri arrivano dalle scuole della provincia. Letizia Elena Sibilia è la dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo di Rudiano, composto anche dalle scuole di Roccafranca e di Urago d’Oglio: 300 bambini circa in tutto. “A oggi di richieste di portarsi il pranzo da casa non ne abbiamo ricevute, per cui partiamo con il servizio regolare delle mense – afferma la dirigente – in ogni caso sono del parere che la questione non possa essere gestita soltanto in sede locale. Esistono problemi di regole e igienico sanitari. Aspettiamo indicazioni anche dall’Ats su come comportarci. Dove conserviamo il pranzo da casa? La sua consumazione ha bisogno di assistenza? E chi la deve effettuare?” Continua Sibilia: “Quest’anno abbiamo una grande richiesta del servizio mensa. Operiamo su due turni, con 80 bambini per volta. Per qualcuno potrebbe esserci un problema di costi, che tra l’altro variano da Comune a Comune. Per ora non ne abbiamo risentito. Sarebbe meglio riuscire a fare vere politiche sociali e ad abbassare il costo per tutti. Il fatto è che le famiglie trovano comodo questo servizio. E credo che sia meglio un pasto caldo per tutti.”

 Per gli insegnanti, meglio il servizio mensa offerto dalla scuola o il pasto portato da casa? Lo abbiamo chiesto a Giovanna, maestra nella scuola primaria di Chiari. “Credo che anche nel valutare questa questione si debba partite dall’obbiettivo che si ha.” Quali obiettivi ci si pone con il servizio mensa? “Come insegnante invito i bambini ad assaggiare tutto, ma anche ad evitare lo spreco. Il pasto è uno dei momenti più educativi della giornata. “Ecco allora che l’approccio dei bambini al cibo per un insegnate non è solo il riempire lo stomaco e ricaricare le energie. È una occasione formativa”. E il servizio mensa diviene il mezzo per fare sperimentare ai bambini cose nuove, per fargli conoscere il mondo. Diviene uno strumento per educarli al non spreco, al consumo consapevole. Alla sobrietà dei comportamenti. E insegna a stare insieme, è un momento socializzante molto forte. Si è fuori dalle regole rigide della classe e si è nel contempo costretti a convivere e condividere comportamenti ed atteggiamenti. Il pranzo insieme poi è anche una grande occasione di dialogo e racconto a casa. Con i propri genitori”.

 Non poteva mancare, ovviamente, il parere dei genitori. Le mamme di un Comune importante come quello di Chiari sostanzialmente sono favorevoli al servizio della mensa. Cercano di coccolare e proteggere i propri cuccioli, ma la vedono come una opportunità di crescita. Nessuna si è lamentata del costo del servizio, tema delicato in un periodo in cui è difficile per molte famiglie far quadrare i conti. “Come mamma ho sempre usufruito del servizio mensa – dice Giovanna – sono una lavoratrice, e mi sono sempre trovata bene. I miei figli hanno socializzato, ma soprattutto imparato ad assaggiare cibi nuovi. Purtroppo non sempre il cibo è particolarmente buono, ovviamente dipende dalla mensa, ma anche le addette alla distribuzione fanno la differenza.” Favorevole alla mensa anche Laura: “Io da mamma tenderei a dare a mio figlio solo ciò che desidera... Non farei sperimentare nuovi sapori, non saprei bilanciare una dieta… Credo che la mensa scolastica sia utile, anche sul versante delle relazioni. Anche in mensa i bambini fanno conoscenza”.

 Chiude il giro di pareri chiesti dal settimanale diocesano padre Antonio Consonni, responsabile dell’Istituto scolastico che la Congregazione della Sacra Famiglia ha ad Orzinuovi. Ogni giorno si confronta con i problemi del mondo della scuola e per questo è convinto che la questione posta dalla Corte d’Appello di Torino non si esaurisca con il tema della scelta. “Se – afferma al proposito – il mangiare è esperienza profonda di relazione, a cosa può portare una sentenza come quella di Torino che va contro ogni forma di relazione, imponendo di fatto una divisione tra studenti?”. Da questo punto di vista, dunque, la sentenza di Torino per il religioso è destinata a creare qualche problema. Quello che i giudici hanno deciso, di fatto non va ad incidere su quella che, per padre Antonio, è la questione prioritaria: far crescere il tempo del pranzo scolastico sia sul fronte della qualità di ciò che viene offerto che della sua dimensione educativa. “Nel nostro istituto ci siamo dotati di due cuochi – afferma – e stiamo lavorando, anche con l’aiuto dei docenti, perché i nostri studenti si educhino, mangiando con gli altri, a una corretta alimentazione e, soprattutto, nel recupero delle relazioni”.

 

MASSIMO VENTURELLI E SERGIO ARRIGOTTI 22 set 2016 09:42