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Brescia
di ROMANO GUATTA CALDINI 20 feb 2017 15:48

Pd. Orlando: "La base è smarrita"

"Fermiamoci e ripartiamo, la scissione non ha senso". E' stato il messaggio di Matteo Renzi, segretario ufficialmente dimissionario, all'assemblea nazionale del Partito democratico che si è tenuta domenica a Roma. Ufficialmente la scissione non c'è stata, ma sostanzialmente è una realtà. Le dichiarazioni dei bersaniani e la nota congiunta di Speranza, Emiliano e Rossi spazzano via i dubbi

"Fermiamoci e ripartiamo, la scissione non ha senso". E' stato il messaggio di Matteo Renzi, segretario ufficialmente dimissionario, all'assemblea nazionale del Partito democratico che si è tenuta domenica a Roma. Ufficialmente la scissione non c'è stata, ma sostanzialmente è una realtà. Le dichiarazioni dei bersaniani e la nota congiunta di Speranza, Emiliano e Rossi spazzano via i dubbi: è scissione. Qual è il bilancio di una delle pagine più difficili del partito democratico? Lo abbiamo chiesto al segretario provinciale Michele Orlando.

Da un lato Matteo Renzi ha cercato di stemperare i toni facendo appello all'unità e dall'altro ha ribadito che "Scissione è una delle parole peggiori, peggio c'è solo la parola ricatto”. “Non è accettabile – ha continuato Renzi - che si blocchi un partito sulla base dei diktat della minoranza". Come giudica l'intervento dell'ex premier?

Il suo intervento, il suo appello alla responsabilità, è stato assolutamente condivisibile: una comunità non può essere disturbata da continue polemiche, ricatti. D’altro canto non è stato l’unico intervento in questa direzione, ricordo quello di Fassino, Veltroni, Martina, Orlando, Damiano… Sono stati tantissimi gli appelli volti a ricondurre a una maggiore ragionevolezza che, stando alla giornata di domenica, non sono stati accolti. Dopodiché tutto è possibile, non darei nulla per fatto o per definito. Certo, per il Partito Democratico non è stata una bella pagina. Quello che colgo dal territorio, dai nostri circoli, è una forte difficoltà a comprendere cosa stia accadendo e una assoluta contrarietà a qualsiasi ipotesi di scissione.

Anche per scongiurare la spaccatura, la scorsa settimana il Pd bresciano aveva presentato una lettera-appello condivisa dai dirigenti regionali e dai circoli territoriali in cui veniva proposta una soluzione intermedia tra la conferenza programmatica e il congresso. Da parte vostra c’è delusione per la mancata accoglienza dell’appello della base?  

Un po’ di delusione c’è ma non dispero sul fatto che la sostanza della nostra proposta possa essere accolta. Di fatto chiediamo di trasformare quella che è la prima parte del congresso, prevista dallo Statuto, non in un una fase eliminatoria dove selezionare semplicemente i candidati che concorreranno poi alle primarie aperte a tutti gli elettori e simpatizzanti. Vorremmo fosse un congresso vero che dia la possibilità agli iscritti di dire la loro non solo sulla figura dei candidati, anche sul giudizio che giustamente qualcuno ritiene di dare rispetto a questi ultimi anni di Governo, ma soprattutto sul profilo ideale/programmatico che vogliamo dare al partito in vista delle prossime elezioni politiche, un progetto per l’Italia che riguarderà i prossimi anni. E' necessario cercare nella prima parte del congresso di mettere l’accento non solo sui candidati, quanto sul programma, sugli obiettivi, sulle cose da fare, su ciò che serve al Paese. Poi, ovviamente, si riserverà la chiusura, il coronamento, alle primarie aperte per scegliere il leader, chi ci dovrà rappresentare in questa sfida. La nostra proposta può essere ancora alla portata e depotenzierebbe di molto, facendone emergere tutte le strumentalizzazioni, le posizioni di coloro che, ormai, per partito preso, hanno scelto la scissione.

Veniamo al capitolo scissione. Secondo lei quali sono stati i fattori che hanno portato all'attuale stato di cose?

E’ stato un sedimentarsi di incomprensioni assolutamente personali. Non ho timore di dirlo e di ripeterlo: una parte del gruppo dirigente, che pure ha la mia stessa storia, non ha mai accettato la vittoria di Renzi all’ultimo congresso. Era la fine del 2012. Da quel momento in poi a oggi è stato tutto uno stillicidio di critiche, attacchi, che raramente avevano a che fare con le cose concrete di cui stava discutendo, con i provvedimenti di Legge approvati. Il più delle volte emergeva una contrarietà a priori. Credo che l’esito dell’assemblea di domenica sia il coronamento di questo percorso… Che rischi abbiamo davanti? Oggettivamente corriamo il rischio che il Pd si snaturi rispetto a come lo abbiamo conosciuto sino a oggi e per come è stato pensato quando è nato, cioè come un partito plurale in grado di accogliere una molteplicità di culture e sensibilità. Questo è il rischio ma credo che riusciremo a scongiurarlo perché ho la percezione che una grandissima parte di quel mondo che proviene dal Pds, dai Ds – che è poi il mio mondo - non stia capendo l’idea del perché arrivare a una scissione. Sono persone che non condividono assolutamente le posizioni dei D’Alema, e di chi la pensa come lui, convinti che l’unica possibilità sia uscire. Del resto, io per primo, resto ovviamente nel Pd candidandomi a rappresentare anche quella parte di storia che è giusto che continui ad avere una sua rappresentanza in questo partito.

Al di là delle dichiarazioni e dei comunicati stampa ci sono ancora margini di manovra per evitare una scissione?

Fino all’ultimo margini di manovra ci sono. Tutte le volte che è stata fatta una scissione – a parte che abbiamo regalato il Paese al centro-destra,  un male per l’Italia – gli scissionisti non hanno mai avuto grandi successi, almeno guardando alla storia degli ultimi 20/25 anni. E questo credo non sfugga neanche a quelli che fino a ieri sera hanno minacciato di andarsene. Il rischio è di dar vita a delle esperienze di pura marginalità che rischiano di fare del male più al Pd, e quindi al Paese, piuttosto che raggiungere concretamente degli obiettivi. Tutto ciò che cerca di nascere alla sinistra del Pd è destinato a fallire, come accaduto sino a oggi. Del resto, anche il congresso di Sinistra italiana a Rimini è la dimostrazione che troppo spesso un progetto non fa nemmeno in tempo ad essere pensato che già viene azzoppato da divisioni e incomprensioni. Il tema vero è capire che fuori dalle nostre stanze c’è un mondo – orientato verso una direzione preoccupantissima – che ha bisogno di risposte e non di piccole beghe da pollaio come quelle che si sono viste. Beghe incomprensibili, che fanno arrabbiare la nostra gente che demotiva la partecipazione, il coinvolgimento di un progetto che invece dovrebbe avere obiettivi molto più alti e ambiziosi.

Nei sui incontri sul territorio sente che c’è smarrimento, delusione?

Sì, smarrimento, delusione, incomprensione, ma non colgo grandi volontà di seguire questa scissione anche in un mondo che pure ha condiviso un pezzo di strada con chi l’ha ipotizzata. Anche nella componente più a sinistra del partito, qui a Brescia, non vedo grandi segnali di preoccupazione. A livello di circoli, iscritti, tra gli amici, i compagni della base come si diceva una volta, colgo però una forte irritazione proprio per la mancanza di incapacità e la mancanza di volontà nel superare la questione e trovare una quadra, quello che poi ci hanno sempre insegnato. Siamo un po’ figli del centralismo democratico. Oggi mi sembra che nessuno lo rimpianga, però - rispetto alla confusione totale, al caos quotidiano al quale siamo costretti ad assistere oggi - forse sarebbe il caso di riprendere un pochino di senso di responsabilità che c’era allora e dire proviamo, discutiamo, litighiamo anche ma poi, insomma, votiamo e la decisione che emerge sarà quella che vincola tutti. Il recupero di un atteggiamento del genere farebbe bene anche al giorno d’oggi.

ROMANO GUATTA CALDINI 20 feb 2017 15:48