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Brescia
di MASSIMO VENTURELLI 02 mag 2017 08:09

Il lavoro che non può essere mantenuto

Grande attenzione nel corso della Festa del Primo Maggio è stata data al tema del lavoro che manca. Nei giorni scorsi Anna Maria Gamndolfi, Consigliera di parità provinciale, ha diramato i dati bresciani sul fenomeno delle dimissioni dal lavoro per la mancanza di supporti necessari all'integrazione di questo tempo con quello della famiglia

La Festa del lavoro 2017 è stata dedicata, in tutto il Paese, ai giovani che fanno sempre più fatica a entrare in pianta stabile e con adeguata dignità nel mondo del lavoro. Si tratta di un tema urgente che, come ha ricordato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella richiede risposte e soluzioni urgenti. Nel panorama complessivo del mondo del lavoro italiano c’è, però, un altro aspetto che non sempre trova la dovuta attenzione: quello delle persone che sono costrette ad abbandonare il circuito dell’occupazione perché sprovviste di quei supporti in grado di rendere possibile la conciliazione tra i tempi del lavoro e quelli della vita. Nella sola Brescia sono state 1258 le persone che, nel corso dello scorso anno, si sono dimesse dal proprio lavoro. Questa realtà è documentata dalla Consigliera di parità provinciale Anna Maria Gandolfi che, con Susanna Staccioli Capo dell’Ispettorato provinciale dalla Direzione territoriale del lavoro di Brescia, ha presentato i dati sulle dimissioni delle madri e dei padri che hanno figli in età inferiori ai tre anni. Dimissioni che in un anno sono cresciute di quasi 250 unità.

I dati del 2016 rilevano che delle 1258 dimissioni, 970 sono lavoratrici madri e 275 sono lavoratori padri contro  le 803 lavoratrici madri e 235 lavoratori padri del 2015. Le fasce di età dei lavoratori/lavoratrici più colpite da questo fenomeno sono tra i 26 e i 35 anni per n. 744 dimissioni di cui  606 donne e 138 uomini, e la fascia da 36 a 45 anni per un totale di 399 dimissioni di cui 279 donne e 120 uomini.

Le qualifiche delle lavoratrici/lavoratori più colpite sono le impiegate e gli operai e le aziende dove maggiormente sono rilevati questi dati sono  per le aziende fino a 15 dipendenti per n. 647 dimissioni , da 16 a 50 dipendenti per n. 227 dimissioni, da 51 a 100 dipendenti  per 84 dimissioni da 101 a 200 dipendenti per 69 dimissioni e oltre 200 per n.231 dimissioni, quest’ultimo fenomeno tocca soprattutto la grande distribuzione o i punti franchising dove spesso alle madri che rientrano dopo la maternità viene proposto un trasferimento ad altra sede e in altra città. I settori produttivi maggiormente toccati sono per 571 casi nei servizi, e qui si intende soprattutto nelle cooperative, n. 340  dimissioni nel settore del Commercio, per piccoli negozi  in crisi per mancanza di lavoro o che addirittura chiudono, nell’Industria per n. 311 dimissioni e in Agricoltura  per n. 7 dimissioni .

Se i dati sulle dimissioni nel 2016 sono importanti, ancora di più lo sono le ragioni che hanno portato a questa scelta. 528 lavoratrici/lavoratori hanno lasciato la propria occupazione per mancanza di parenti di supporto, caso tipico madre e padre che lavorano, asilo nido troppo costoso, parenti lontani o nonni ancora in età lavorativa. Il maggior numero di padri n. 203 si colloca nella causa di trasferimento da azienda a azienda, è il caso di un lavoratore padre che avendo figli in età fino ai tre anni è obbligato a fare il passaggio in DTL nel caso in cui si dimetta da una azienda per essere assunto da altra azienda , oppure che si dimette per raggiungere la famiglia in altra località che spesso coincide con il rientro in patria nel caso di lavoratori stranieri.

Altro dato rilevante sono le 195 lavoratrici madri e 70 lavoratori padri che lasciano il lavoro per motivi diversi rispetto alla non concessione del part time: 31 casi e richiesti solo da donne, o a situazioni difficilmente conciliabili con esigenza di cura della prole in n. 36 casi e solo donne. I motivi diversi non ben identificabili dalle statistiche della Direzione territoriale del lavoro, possono essere in generale imputabili a giovani mamme che vogliono prendersi cura della propria prole almeno per i primi anni di vita del figlio, o a elevati costi del nido rapportati allo stipendio che prendono, o in alcuni casi può essere compresa la richiesta del marito/compagno stesso affinchè la moglie/compagna lasci il lavoro per prendersi cura della famiglia.

“ Le considerazioni  in generale che sono portata a fare sono di due tipologie : la prima sulle aziende che ancora faticano a vedere in una lavoratrice che rientra dalla maternità un valore aggiunto per la propria attività , ricordando che una lavoratrice valorizzata porta certamente più profittabilità che una lavoratrice demotivata ,  e l’altra sulle lavoratrici madri  alle quali faccio un invito, quello di coinvolgere il proprio marito alla condivisione della cura della prole perché educativo anche per loro, sono ancora pochi i padri che chiedono il congedo parentale . Sappiamo bene che  nel panorama italiano  la maternità è purtroppo vista ancora un problema  e che il cambio culturale è lento a dare i suoi frutti , le Istituzioni dovranno impegnarsi di più per non far gravare i costi sulle aziende ma anche per stare al fianco delle lavoratrici che  subiscono discriminazioni  solo perché sono madri, e l’ufficio della Consigliera di parità è presente per accompagnare questo cambio culturale e sostenere progetti concreti  formativi ed informativi, a breve in accordo con la Direzione territoriale metteremo a punto una brochure illustrativa per le mamme e i papà affinchè conoscano al meglio i loro doveri e i loro diritti , ricordo anche l’accordo fatto con i Consulenti del Lavoro e la Direzione territoriale per mezzo del quale  ci sarà più sinergia a vantaggio dei lavoratori e delle aziende” sono le considerazioni di Anna Maria Gandolfi.

MASSIMO VENTURELLI 02 mag 2017 08:09