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Brescia
di R.GUATTA CALDINI 10 giu 2016 00:00

Don Marco Cavazzoni. L'importanza della famiglia

Nato a Brescia il 4 aprile 1991, don Marco Cavazzoni ha sempre vissuto a Manerbio. È l’ultimo di tre fratelli, di cui uno sacerdote: don Mattia e Marcello. Ha ricevuto il battesimo il 12 maggio 1991 nella chiesa di Cignano. Nel settembre del 2005 ha fatto il suo ingresso in Seminario

E' stata questa cura dei sentimenti, delle cose belle, della gratuità, dell’amore di Dio che ho vissuto e percepito nel mio contesto abituale che ha creato le basi, il terreno, che mi hanno permesso di lanciarmi in questa avventura”. Così don Marco Cavazzoni, parlando della sua famiglia, descrive il percorso che lo ha portato all’ordinazione sacerdotale, un percorso – il suo – intrapreso grazie alle solide radici familiari: “Devo a loro, alla mia famiglia e ai miei fratelli in primo luogo, il fatto che mi sia messo in cammino e abbia scoperto questa strada per la mia vita”: ha sottolineato Marco. Ultimo di tre fratelli, di cui già uno, don Mattia Cavazzoni, sacerdote, Marco in questi anni ha svolto il suo tirocinio pastorale nella comunità di Agnosine per i primi due anni, poi al Villaggio Prealpino, è stato quindi prefetto al seminario minore, concludendo, nel 2016, l’anno diaconale nella comunità di Mompiano. La sua è la testimonianza di come l’esperienza quotidiana di fede vissuta in famiglia “con sobrietà, con bellezza e genuinità” possa fare la differenza nella vita di un bambino diventato adulto. Come hai vissuto il servizio diaconale a Mompiano? È stato un anno particolarmente intenso, un’esperienza significativa. Ho visto come si comincia a “farsi mangiare dalla gente”. È un po’ la spiritualità del prete diocesano il fatto di essere con le persone, per le persone, segno di Dio in mezzo a loro. È un qualcosa che mi piace e che mi provoca: è sempre un mettersi in gioco, un verificare quanto tengo per me e quanto, invece, sono chiamato a dare, a essere per gli altri. C’è una frase che in questi giorni risuona in me. Con l’ordinazione sacerdotale, con il fatto che io divento sacerdote di Cristo, nel mio cuore risuona la frase: “Io non mi appartengo più”. È l’asserzione che mi sta guidando in questi giorni di preparazione e che sta albergando nel mio cuore. Spero che il Signore mi aiuti a fare in modo che questa frase prenda sempre più piede nella mia vita. Questa esperienza a Mompiano mi ha dato proprio la possibilità di muovere i primi passi con il Signore e per il Signore.

Fondamentale nella tua scelta è stata la famiglia, ma ci sono delle figure spirituali che ti hanno influenzato? Sì, i preti che ho conosciuto nel corso del mio cammino, in primis mio fratello che ha già fatto questa scelta e mi ha fatto intravedere la possibilità di prendere questa strada. Poi ci sono i preti che mi hanno accompagnato in questi anni sia in parrocchia dove sono cresciuto sia in seminario, i preti che mi hanno formato, penso ai padri spirituali che ho avuto in questi anni. Sono state persone che con la loro vicinanza mi hanno sostenuto, aiutato e indirizzato nel leggere nella mia vita la Pasqua che il Signore voleva che io vivessi proprio perché poi io possa aiutare le persone a vivere la Pasqua nella loro vita: significa sentire Dio vicino a sé, sentire un Dio che è per me, un Dio che in tutto quello che io vivo garantisce la sua presenza e il suo aiuto proprio perché mi chiama a qualcosa di bello, qualcosa di grande. Queste figure sono state per me un aiuto per rileggere tutta la mia esperienza alla luce del Signore e mi piacerebbe tradurre tutto questo, essere io un segno, un aiuto anche per gli altri, affinché possano trovare nella loro vita la presenza di Dio.

Nel tuo anno di diaconato ci sono delle testimonianze, dei ricordi che vanno in questa direzione? Sebbene sia ancora inesperto, già solo l’accompagnare i ragazzi alla prima confessione, alla prima comunione e alla cresima, l’accostarsi al perdono di Dio, ad accostarsi al dono dello spirito, ad avvicinarsi a ricevere nelle proprie mani Dio stesso, vedere la straordinarietà di questa cosa e farla cogliere ai bambini e ai ragazzi è qualcosa di significativo, non scontato. Ed è bene che rimanga non scontato, bisogna far percepire a questi ragazzi che non è perché si fa il cammino di catechesi che c’è questa tappa: aiutarli a cogliere la straordinarietà di tutto questo per la loro vita è stata per me una delle occasioni in cui mi sono messo a servizio per far scoprire la vicinanza di Dio.

Cosa ti lascia il periodo in Seminario? Quanto ha influito nel tuo percorso?
Posso dire che prezioso come il Seminario per la mia formazione c’è stato ben poco, ha occupato gran parte dei miei anni, sia nel senso quantitativo che qualitativo: la mia adolescenza, la mia prima giovinezza le ho passate in Seminario. È stato un luogo, una comunità importante, decisiva, in cui ho scoperto davvero il Signore all’opera.

Ho scoperto che per me il Signore ha preparato grandi cose, ho scoperto la bellezza della comunione, la fatica della comunione, ma sento che la ricchezza datami da questo cammino di formazione – dal punto di vista umano – intellettuale e spirituale, è qualcosa di incommensurabile.
Il Seminario, nella misura in cui ti metti in gioco, entri in dialogo con i superiori, con gli educatori, con i compagni di classe, ti forma, ti restituisce attraverso modalità nuove, relazioni nuove, sempre in meglio.
R.GUATTA CALDINI 10 giu 2016 00:00