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Fidenza
di + OVIDIO VEZZOLI 14 lug 2017 10:32

Annunciamo il Vangelo della speranza

Il testo dell'omelia pronunciata dal vescovo Ovidio Vezzoli nella celebrazione eucaristica di inizio del suo ministero episcopale a Fidenza

Riportiamo di seguito il testo dell'omelia pronuciata da mons. Ovidio Vezzoli nella Santa Messa di ingresso nella diocesi di Fidenza.

"Le parabole narrate da Gesù hanno la particolarità di rivelare la prossimità compassionevole di Dio all’umanità; ad essa è consegnato il dono dell’Evangelo, che domanda di trovare spazio nel cuore di ogni uomo.

Utilizzando il linguaggio della esperienza quotidiana, la parabola intende far riflettere l’interlocutore oltre la banalità e lo scontato. La parabola in tal senso mette all’erta, chiede vigilanza; è un vero e proprio ammonimento contro ogni forma di mediocrità. In questa prospettiva il racconto di Gesù chiede fiducia, e invita ad avere atteggiamenti di vicinanza, che non rendono estranei né al fatto narrato né ai personaggi implicati nel racconto.

Carissima comunità di Fidenza e voi tutti amici presenti a questa Eucaristia nel giorno del Signore, tre rimandi essenziali richiamano la nostra attenzione alla luce della pagina evangelica di Mt: anzitutto (vv. 1-9), la parabola del seme; in secondo luogo (vv. 10-17), perché Gesù parla in parabole; infine (vv. 18-23), la spiegazione attualizzante di Gesù.

La parabola del seme 

Siamo all’inizio del discorso in parabole e il testo già riflette una Chiesa attraversata dalla fatica. Essa, infatti, si trova impegnata nella prosecuzione della missione che Gesù le ha affidato (cfr. Mc 16,15-20), ma non senza ostacoli. Come le era stato annunciato, la comunità dei discepoli non si trova davanti ad un successo immediato; al contrario, essa sperimenta ostilità, indifferenza e, nondimeno, un affievolimento della perseveranza, fino a far dubitare della necessità dell’annuncio dell’evangelo. A questa situazione intende offrire una risposta la parabola del seme.

Di fatto, siamo di fronte ad una lettura disincantata che Gesù fa della sua stessa missione di annuncio della buona notizia di Dio. È la parabola della sua vita e della sua missione. Davanti al pregiudizio e all’ostilità con cui è stato accolto dalle autorità religiose del suo tempo, Gesù non ha disertato l’annuncio né ha gridato al fallimento assoluto. Gli ostacoli che hanno rallentato la corsa della Parola non hanno costituito un intralcio definitivo; al contrario hanno rafforzato la speranza del seminatore, che non ha cessato di spargere la semente, indipendentemente dalla qualità del terreno.

Alla Chiesa degli inizi e alla Chiesa di oggi, impegnata nell’annuncio della buona notizia, è detto che non vi può essere comunità discepola del Signore se essa non vive della sua Parola e se non fa dell’Evangelo l’unum necessarium (cfr. Lc 10,42).

Davanti alla folla che gli si accalca attorno, Gesù parla (elalēsen). Non si tratta di una semplice comunicazione di dottrina. La particolarità del parlare di Gesù si caratterizza per la sua capacità di stabilire un preciso legame tra discepolo e maestro. Ciò significa che non si può ascoltare il Maestro se non da discepoli e nell’umiltà. Questa è la condizione fondamentale perché vi sia ascolto efficace. Infatti, Gesù inizia la narrazione della parabola mediante un ammonimento preciso: «Ecco» (Idou).

Davanti a Gesù si sta da discepoli e non diversamente.

Matteo  ci offre il testo della narrazione (vv. 3-8) in modo essenziale. L’accento è posto non sul seminatore, ma sul seme dell’Evangelo che è sparso. Nel terreno la Chiesa identifica se stessa, come luogo in cui cade il seme della Parola. Applicando a se stessa la parabola e non ad altri, la comunità discepola si interroga sulla verità dell’oggi in cui essa accoglie la Parola e con quali atteggiamenti. Stupisce il fatto che il seminatore getta il seme ovunque con generosità, come anche il raccolto insperato. Il testo, probabilmente, riflette la crisi della predicazione di Gesù e della sua comunità cristiana: tanto lavoro, tanta fatica e con quale esito?

Sullo sfondo permane il detto di Gesù in Gv 12,24: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo». Si chiede il dono di sé, ovvero lo scomparire: questa è la condizioni perché il seme porti frutto.

Gesù conclude con un invito a riflettere attentamente (v. 9) sul fatto che il seme gettato è comunque solo ‘buono’, che è gettato ‘ovunque’ e non solo sulla terra buona, che il raccolto è diversificato e insperato.

Il regno di Dio (seme gettato) è ancora allo stadio iniziale, urta contro resistenze e presso molti trova una fede senza stabilità o non la trova affatto. Tuttavia questo seme è gettato ‘qui’ e ‘ora’ in un oggi che è la terra bella e buona di quanti cercano la verità della vita e attendono con amore il realizzarsi della speranza.

Perché Gesù parla in parabole

Terminata la catechesi, Gesù si trova solo con i suoi discepoli che gli pongono un interrogativo: «Perché parli in parabole?». La comunità cristiana riflette sulla prassi di Gesù e si chiede quale significato possa avere tutto ciò.

La risposta di Gesù merita un’attenzione particolare. Egli, infatti, opera una distinzione tra il ‘voi’ dei discepoli e ‘quelli’ (exeinois). In sostanza Gesù precisa: la sua predicazione e la sua presenza sono un vero e proprio enigma, una realtà non immediatamente comprensibile per quanti non fanno posto alla sua Parola; in tale condizione essi non possono vedere e intendere appieno. Per essi il mistero del Regno si nasconde, non si dà a conoscere perché rifiutano di incontrarlo.

È difficile accogliere la debolezza iniziale del Regno, perché porta i segni della croce.

Richiamando il testo profetico di Is 6,9-10 Gesù ammonisce ed esorta alla vigilanza circa l’ora presente del segno del tempo, che è la sua parola che incontra e interpella. Non si tratta di un atto di accusa o di giudizio su quella parte che rimane fuori e non accoglie la Parola. Piuttosto, il testo esprime l’effetto che le parole di Gesù procurano su quanti le ascoltano. Vi sono coloro che si interrogano e si decidono tra fede e incredulità, tra accoglienza e indifferenza, tra l’inizio di una paziente ricerca della verità e la dichiarazione del tutto inutile. Vi sono anche coloro che provano fastidio e una precisa volontà di non lasciarsi interpellare, sprofondando in quella cecità che non permette di vedere la verità dell’opera di Dio in Gesù.

Quando non si vuol ascoltare, ogni linguaggio è incomprensibile, straniero. L’ammonimento, comunque, rimane in quanto la finalità ultima dell’annuncio non è la condanna, ma il perdono. Tutto si gioca sulla libertà di lasciarsi interpellare dall’evangelo del Regno che ci raggiunge: «Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano» (v. 16).

L’esegesi attualizzante di Gesù

L’esordio della spiegazione attualizzante di Gesù è affidato ad una affermazione precisa: «Voi, dunque, ascoltate la parabola del seminatore (akousate)» (v. 18). L’attenzione è posta volutamente sul discepolo che ascolta, chiamato ad essere a sua volta seminatore-annunciatore della Parola del Regno.

Gesù annota che vi sono discepoli (v. 19) che accolgono la Parola come sulla strada, senza comprenderla. Ciò che impedisce l’attecchimento della semente è la presenza del Maligno (ho ponēròs), il quale rapisce il seme perché non germogli nel cuore del discepolo. Il fatto che la semente non fruttifichi, dunque, non dipende unicamente dal terreno; vi è un fattore indipendente (il Maligno), che può impedire il frutto del bene.

Vi sono discepoli il cui ascolto è corrispondente alla semente caduta tra i sassi (vv. 20-21). Sono i discepoli di un momento, che davanti alla prova non resistono e disertano. Il rimando nel testo è relativo ai missionari, che incontrano ostacoli e soccombono nella prova, impedendo alla Parola di germogliare perché soffocata dallo scandalo della sua debolezza iniziale.

Vi sono discepoli la cui accoglienza della Parola corrisponde alla semente caduta tra le spine (v. 22). In questo caso l’asfissia è determinata da due cause fondamentali: la mondanità e la ricchezza che seduce. È il cuore dell’uomo il luogo in cui l’illusione trova un terreno adatto.

Infine, vi sono coloro che portano frutto sovrabbondante. La loro assiduità e perseveranza nell’ascolto della Parola, fanno di costoro discepoli che permettono all’Evangelo di portare frutto in abbondanza.

Nella spiegazione di Gesù prevale la prospettiva dell’ammonimento che esorta a vegliare, a stare attenti circa l’ascolto della Parola e la sua perseverante accoglienza, accompagnata da un atteggiamento di conversione continua. Il vertice della parabola di Gesù è costituito, comunque, dal fatto che la Parola, quale dono di Dio, porta frutto abbondante malgrado tutte le contrarietà e le resistenze che incontra sul cammino. Ciò realizza la parola profetica di Is 55,10-11: «La mia Parola non ritornerà a me senza aver compiuto ciò per cui l’ho inviata».

Il seme è gettato. Si è solo all’inizio della speranza, che attende il compimento della promessa.Il seme gettato è buono e bello in sé. Chiede un terreno buono e bello nel quale essere accolto per portare frutto inaspettato. Se ciò ha un fondamento, allora non si può stare ‘fuori’ in una ostinata incredulità; è necessario accogliere il rischio di entrare, di ascoltare e di permettere alla Parola di dimorare in noi.

Carissimi tutti, la cui presenza si fa preghiera (e di ciò rendo grazie davanti a Dio), questo è il cammino che ci sta davanti: non si tratta di elaborare una strategia pastorale di conquista, né di mettere in atto qualche arte oratoria di persuasione. Il cammino, che cerchiamo di continuare, ponendoci nel solco che tanti testimoni della Chiesa di Fidenza, prima di noi, hanno tracciato (dal martire Donnino, al vescovo bresciano Guglielmo Bosetti e al vescovo Carlo che mi ha preceduto, senza dimenticare tanti sacerdoti, catechisti, religiosi, uomini e donne servitori della Parola, nube di testimoni della speranza nascosti al mondo, ma conosciuti dal Signore), ci invita a tenere fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della nostra fede (cfr. Eb 12,1). Questo è il cammino che intendo proseguire con voi.

Dio è il Signore della messe; per noi il campo da mietere è sempre troppo grande, supera le nostre povere forze; ci domanda solo di lasciar agire lui e di fare spazio alla sua Parola efficace.

L’apostolo Paolo rafforza la nostra speranza, ricordandoci che Colui che sta all’inizio dell’opera, Gesù il Signore, è lo stesso che la porterà a compimento (cfr. 1Ts 5,24). Amen".

+ OVIDIO VEZZOLI 14 lug 2017 10:32